mercoledì 12 aprile 2017

LA FIGLIA FEMMINA
di Anna Giurickovic Dato  Fazi 2017
Recensione di Liber Liber la Lettura
di Rosy Franzò & Piero Pirosa

E’ un dramma borghese “La figlia femmina”,  di Anna Giurickovic Dato, giovane scrittrice all'esordio per Fazi Editore. Si muove nell’alveo del romanzo psicologico, di profonda indagine introspettiva.  Le sue radici sono da ricercare nella tragedia greca fino ad approdare al teatro sperimentale di Brecht, Pirandello, o  Ibsen. La fabula narrativa è la  rappresentazione realistica di una vicenda umana tragica, focalizzata sui meccanismi mentali dei personaggi, sulle  loro emozioni, sui loro stati d’animo, sui loro conflitti interiori,  sull’osservazione minuziosa della vita. Il romanzo è caratterizzato dall'opera paziente dello scandaglio  interiore e dall'indagine sulle ombre della psiche e sui guizzi dei desideri “malati”; è pregno di morbosa sensualità, ambiguità, potenzialità sovversiva di sguardi, gesti, allusioni, che “gettano” il lettore in uno stato confusionale, in:<<  una nebbiosa atmosfera da crepuscolo dell’amore>>; fotografa impietosamente la vita privata e familiare della classe borghese, distruggendone miti, valori, linguaggi. E’ un libro doloroso. Una preghiera per la violazione della purezza dell’innocenza;  ha i toni  del "J'accuse" di zoliana memoria, contro le debolezze umane del non voler vedere, al chiudere gli occhi sul male che è troppo vicino a noi, dentro di noi,  a ”portata di mano”. La scrittrice analizza la natura umana nelle sue sfaccettature più intime,  più oscure; cattura repentinamente l’attenzione del lettore , lo inchioda dal primo capitolo, con la stessa violenza di un padre sulla figlia.  La scrittura è “potente”, piana, quasi chirurgica. Nulla è ridondante ed ampolloso, né disadorno né incolto, né c’è traccia alcuna di ostinata ricerca di ornamento. La lettura si perpetua con  linearità, trasparenza, senza ricorrere a improbabili iperboli. Bastano poche pagine, la lettura di poche righe e il lettore viene preso per mano, e con una presa sicura, forte, viene “scaraventato” nell’orrore.
<<Una storia disturbante che si legge tutta d’un fiato>>, è stato il commento di Simonetta Agnello Hornby.
Maria è una bimba :<< profuma di timo ed è bianca come il latte caldo……il suo sguardo è enorme, sostiene tutto ed  è insostenibile , perché è innocente,……non sa cosa accade, non ha il coraggio di chiederlo, di domandare alla sua mamma il significato di quella notte>>, figlia di un diplomatico, Giorgio, e di una donna solare, Silvia, che ama la sua famiglia. Vivono a Rabat dove Giorgio lavora e dove Silvia cresce Maria, tra il mercato centrale e le belle coste marocchine.
La storia si srotola nel futuro che presto diventa presente: Giorgio non è più nelle vite di Silvia e Maria, che è ormai adolescente. Vivono a Roma e Silvia ha una galleria d'arte e un nuovo compagno, Antonio. Finalmente si è decisa a invitarlo a casa per pranzo e per conoscere la sua problematica figlia, Maria: aggressiva, rabbiosa, dolce, bella, deliziosa nella sua prima gioventù.
Un dramma borghese ha bisogno di una grande città, o di più grandi città, grandi palcoscenici  per poter mettere in scena le proprie tragedie. Spesso e volentieri, ed è così anche in questo caso,  necessita di un forte elemento familiare. Qui la narrazione  ruota intorno a due personaggi femminili, intorno a due donne, Silvia e Maria, madre e figlia, che si sfidano per contendersi gli amori prima di Giorgio marito e padre-orco e poi di Antonio, il marito-patrigno, emblemi dell'elemento maschile.
Il pranzo risveglierà antichi drammi. Maria è davvero innocente, è veramente la vittima del rapporto con suo padre? Allora perché prova a sedurre per tutto il pomeriggio Antonio sotto gli occhi annichiliti della madre? E la stessa Silvia era davvero ignara di quello che Giorgio imponeva a sua figlia? Al contrario di una letteratura troppo stereotipata sui ruoli di vittima e carnefice, i personaggi della G. Dato camminano nell’ombra dell’ambiguità: la vittima diventa un’adolescente carnefice, la madre una complice, e andando avanti e indietro nel tempo, la vicenda si colora di sfumature, dettagli, oscurità, inquietudini. La Maria di questo romanzo ci riporta alla Dolores Lolita Haze di Nabokov. Infatti, Maria è l’avversaria imbattibile per una donna matura, per una madre come Silvia. E’ più giovane, più bella e più intrigante, perché ancora "senza peccato" e quindi, ancora più stuzzicante per un uomo, per un maschio, nell'accezione più animalesca del termine. Il romanzo porta a riflettere sul nucleo familiare , dove paradossalmente non sempre si è al sicuro. Come romanzi borghesi, di cui un esempio sono “Gli indifferenti” di Alberto Moravia:<< l’orrore, la minaccia incombente, il nemico più prossimo non è quello in divisa da soldato che spunta dal fango delle trincee ma quello in giacca e cravatta che siede a tavola di fianco a noi>>.
Solo quando Giorgio sparirà dalla scena Silvia capirà la orribile verità per bocca della sua stessa figlia che le confesserà ogni cosa anche quella più difficile da credere.
<<Le figlie femmine... in molti paesi se sono brutte è un vero problema.>>
Un argomento pesante, difficile da leggere ma raccontato con uno stile leggero, ammaliante e irresistibile.<< La figlia femmina è quindi un testo difficile da leggere, non tanto per il linguaggio, piano eppure senza scampo, ma perché c'è tutto il nero delle nostre vite, lo sporco che vorremmo nascondere, il non detto che vorremmo tacere sino alla tomba>>.
In un clima tormentato e morboso, il passato si scioglie in una speranza:<< perché l’amore è capace di ricucire ogni cosa e….. il dolore insegna che sei viva>>, per uscire dalla gabbia della sofferenza, della rabbia, per  ricominciare.



                                                                  
      MAGARI DOMANI RESTO
di Lorenzo Marone Feltrinelli 2017
 Recensione di Liber Liber la lettura 
di Rosy Franzò & Piero Pirosa

Cerca Luce, cerca il suo cielo, la sua” luce”. L’ha smarrita, persa fra i vicoli tortuosi , drammaticamente visionari dei Quartieri Spagnoli, eternamente sospesi fra realtà e finzione; eternamente sballottati in una dialettica fra bene e male,  dramma e commedia,  comicità e ironia, sorriso e  pianto. Cerca la sua strada Luce, cerca la “sua” famiglia…eppure come moderno Amleto è titubante:  restare e resistere o spiccare il volo? Tagliare le nervose radici  per planare in un altro azzurro, in  un  ipotetico altrove……?Abbandonare il terreno per un biglietto di solo andata o tirare dritto lungo quelle stradine,  con la certezza che i fantasmi  non scompariranno, ma si materializzeranno come serpi pronte al morso,   da quel viluppo di ricordi, lasciando incolmabili sensi di vuoto. E’ essenzialmente intorno a questa inquietudine che si schiude e trascina l’esistenza di Luce, anzi di  Luce Di Notte:<< Lo so, non è un nome, è ‘na figura e merd!>>. Stella Di Notte sarebbe stata :<<una cosa normale>> e Luce normale non è: Luce è speciale, è na' femmena.  Dopo Cesare Annunziata e  Erri Gargiulo, è una donna  che per la prima volta bussa alla porta di Lorenzo  Marone dicendogli :<< Cosà amma farè, teng na' storià ……>>, e l’effetto non è niente male, tanto che non si percepisce che dietro ci sia una penna maschile, come se questa “amazzone guerriera”, Marone l’avesse dentro da sempre, come crisalide chiusa nel suo angusto bozzolo, pronta alla metamorfosi, a librarsi nell’aria come splendida farfalla. Al primo approccio, il lettore si trova dinanzi un’architettura umanamente composita , un labirinto di personaggi in antitesi con la linearità della trama. Una prima lettura, richiede un’analisi strutturalista e/o formalista, per capire come in una forma elegante, mai aulica, ma con toni di matura raffinatezza estetica, Marone fa sì, che il valore funzionale del singolo personaggio sia determinato dall’interagire, intersecarsi, scontrarsi con gli altri. Lo scrittore, con galateo letterario e una certa teatralità dell'antica arte della commedia napoletana, degna di Eduardo, descrive una commedia dalla morale amara, colorata con  sentimenti di speranza, di fiducia, che  invita  a lasciarsi andare alla deriva nel mare  impervio della casualità, dell’inaspettato, dell’imprevisto. Si muove nell’alveo del romanzo psicologico, di profonda indagine introspettiva, anche se la fabula narrativa non è affatto debole, mai banale, focalizzata sui meccanismi mentali dei personaggi, sulle  loro emozioni e contraddizioni, sui loro stati d’animo, sui loro conflitti interiori. Viene privilegiata l’analisi dei sentimenti, i dialoghi e le scene che permettono alle varie personalità  di rivelarsi. Al centro del romanzo  Luce, “una piccola grande femmina del sud”; vive a Napoli, da sola, in un monolocale in affitto  nei Quartieri Spagnoli, è un avvocato, o almeno dovrebbe esserlo. I titoli li ha. Centodieci in giurisprudenza e la  voglia di diventare un “ bulldog” del foro, peccato che lei in aula ci vada poco o niente. Il suo compito è portare adempimenti da una cancelleria all’altra: un’ eterna praticante, presso lo studio legale “ Geronimo & Partners”, così almeno vuole il suo capo, Arminio Geronimo,  che a dispetto dei nomi che porta, rispetto agli originali non è né idealista né valoroso, ma  smidollato, tirchio e un ridicolo cascamorto.  Capelli corti alla maschiaccio, jeans e anfibi, Luce è una giovane onesta e combattiva, abituata a “prendere a schiaffi la vita”. Alle spalle, l’infanzia segnata dal trauma dell’abbandono , dalla ferita dell’assenza del padre, spiantato e pericolosamente libero, capace di lasciare la famiglia al suo destino e incontrare la  morte in Sudamerica. Una mancanza  affettiva che Luce  percepisce nel profondo della sua anima, e che  ne determina scelte, umori, reazioni e  fragilità, ulteriormente amplificate dal rapporto inesistente con una madre bigotta, moralista, e bacchettona:<< Mia madre si è premunita di insegnarmi il Padre Nostro, l'Ave Maria, il Credo e l'Eterno Riposo, ma non mi ha insegnato come ricambiare un gesto di affetto,….. in che modo aiutare chi ti tende la mano>>, da un fratello “fuggito” al Nord,  e da un amore per un bastardo Peter Pan:<< Il risultato finale è una specie di femmina di bassotto incazzata che proprio non riesce ad accettare che qualcuno le pesti i piedi e che il più forte vinca sempre sul più debole>>, che ogni giorno affronta la vita con "la cazzimma". E Luce di cazzimma ne ha, eccome. E’ un fortino, una corazza metallica impermeabile ai sentimenti, una maschera pirandelliana intrisa di un dolore illacrimato, uno spazio vuoto rivestito di una patina di ironia,  un treno arrivato al capolinea, in perenne attesa di una scintilla per ripartire, per brillare più di prima.
Naturale, per lei, la tentazione di mollare gli ormeggi:<< A volte viene voglia anche a me di imbarcarmi e non tornare più, … semmai salire su al nord, a fare una vita che già so non sarebbe la mia, ma che però, forse, mi permetterebbe di costruire qualcosa, qualunque cosa. Perché qui a volte mi sembra di essere un pesce rosso in una boccia, giro in tondo e un po’ alla volta inquino la stessa acqua che respiro>>. Lars Gustafsson asserisce che:<< Vivere una vita normale è la forma più triste di suicidio>>, eppure la vita di Luce, che  è un inno alla quotidianità, alle consuetudine, alle abitudini, implicitamente dimostra che la felicità è nell’infinitamente piccolo, nella straordinarietà dell’ordinario per chi impara a scorgere :<<Ciò che di bello la vita dona ogni giorno>>. E’, dice Marone  :<< un elogio di quelle piccole grandi cose quotidiane che ci aiutano a stare meglio, che ci fanno  tendere verso la felicità; le piccole cose che noi, spesso, nemmeno notiamo, presi da tutt’altro>>, e poi :<<Essere abitudinari non è poi così da sfigati. I bambini sono abitudinari. E i cani. Il meglio che c’è in giro>>.  Tutto d’un colpo cambia! Entrano nella vita di Luce , senza chiedere permesso, un ragazzetto, Kevin, figlio di un boss e sua madre Carmen per una causa di affido; un bastardino che chiamerà Allerìa, il suono della leggerezza, il suo Cane Superiore,  il suo unico vero confidente; Primavera , una rondine ferita  che curiosamente non vuole lasciare la gabbia, e Don Vittorio, l’anziano vicino , un musicista filosofo in sedia a rotelle. E’ il  plot twist che cambia la storia, la “sua” storia,  che sovverte la rassegnazione, che imprime energia cinetica ad un mondo d’ancestrale staticità, ...fa sobbalzare il lettore, …...lo coglie di sorpresa; l’ avvocatessa, ispida e tenera, che sta sempre sulla difensiva, trova la “sua famiglia”, magari un po’ sghemba, ma  magico luogo di attenzioni, suoni, odori; luogo del cuore impregnato di una forza vitale capace di accordare le persone più diverse, più lontane, più sole, mentre nell’aria si ode il sordido rumore di fondo della camorra, che “ammorba” i Quartieri, dove l’omertà di molti convive con la resistenza di altri. La narrazione scorre al ritmo dell’allegretto, in un  alternarsi di punto e contrappunto, fra il canto rivoluzionario di Luce, delle sue battaglie, della sua sete di giustizia sociale, del suo stare in tutto e per tutto dalla parte dei più deboli, della sua brama d’amore, di riconciliazione …e il mormorio dei Quartieri Spagnoli, di una Napoli, imperfetta e popolare, non più sfondo, non più semplice tavolozza o effimero contorno, ma protagonista assurta a persona; ne senti il respiro proveniente dai bassi piuttosto che dai palazzi nobiliari, senza barriere, dove tutto si mescola, i contorni si sfumano per divenire meravigliosamente indistinguibili: molte città in una. Tutto profuma di Napoli, dalla salsedine alle crocchè fritte la domenica mattina, alla prepotente forza della sua lingua, che impregna il romanzo dei suoi: freva, persechella, schizzechea, scuornu, Viento ’e mare. E allora, andare o restare ? Fin dall’esergo si capisce dove sta l’autore:<<A quelli che resistono. E tirano avanti>>, anche perché :Bisogna cambiare d’animo, non di cielo”.






venerdì 6 gennaio 2017

Fiammetta
di Emanuela E. Abbadessa Rizzoli 2016
Recensione di Liber Liber La Lettura di Rosy Franzò & Piero Pirosa

 La farfalla, l’atomo e la metamorfosi
   
<<La signorina Renzi aveva appena finito di dettare il titolo del componimento e se ne stava seduta dietro la cattedra, col mento alto e la schiena tesa, come per puntare lo sguardo molto lontano da sé….e, per quanto l’aula desse sul cortile interno della scuola, provò ad immaginare di poter allargare la vista sui tetti di Firenze>>. L’inizio di Fiammetta, di Emanuela E. Abbadessa edito da Rizzoli, riporta  alla mente l’Infinito di Leopardi, quella siepe che impedisce la vista, e similmente, Fiammetta fantasticando, va oltre il <<cortile>>, per “naufragar” fra le bellezze fiorentine. L’autrice,  è come se, sapientemente, introducesse il lettore, in un  film di  Comencini , non uno dei tanti del grande regista  dei “bravi italiani”, ma  in “Cuore” , liberamente ispirato  al libro di Edmondo De Amicis. Inizia a  “dipingere”, in maniera accurata e avvincente, il “suo” personaggio e il microcosmo di umanità che lo circonda. La maestra Fiammetta Renzi, sognatrice, poetessa in erba che :<<...amava stupire con atteggiamenti poco convenzionali, mai disdicevoli, però inusuali per una giovane a modo>>,  con la sua ingenua  “sensualità nascosta”, come la ciocca rosso vermiglio tra i suoi capelli, determinazione, indipendenza….amore e sollecitudine nei confronti dei suoi piccoli alunni, rimanda alla signorina con la penna rossa di “deamicisiana” memoria: <<la maestrina della prima inferiore numero tre, quella giovane col viso color di rosa,…. e porta una gran penna rossa sul cappellino>>. L'ambientazione è quella della Firenze di fine Ottocento, lontana anni luce dall’égalité al femminile, invano auspicata, da Olympe de Gouges e dal movimento delle suffragette, il National Union of Women's Suffrage  di Millicent Garrett Fawcett e poi di Emmeline Pankhurst. Eppure :<<Il mondo, pensava Fiammetta, stava cambiando . E molto in fretta…>>. In una realtà cristallizzata, pietrificata, Fiammetta, è portatrice di mutazioni genetiche, che ne fanno una protofemminista, una ribelle ante litteram,  per un mondo declinato al  femminile, capace di emanciparsi  irreversibilmente  dall’uomo,…... una crisalide nel suo angusto bozzolo,  un atomo carico di un’ energia esplosiva. Ma...Fiammetta ha un’anima armoniosa, duale, determinata e sensibile, caparbia e gentile :<< Era lieta di essere nata in una città tanto ricca di storia...Lei, il bello ce l’aveva sempre sotto il naso….bastava uscire di casa….era lì a disposizione, non occorreva pagare un biglietto>>. Sembra sentire il principe Miškin, nell'Idiota di Dostoevskij: <<La bellezza salverà il mondo>>. Ma quale bellezza? Per Fiammetta non è solo bellezza artistica, letteraria, ….col suo fascino catartico, capace di indurre una sindrome di Stendhal collettiva, ma più profonda, interiore, che esplicita  con gesti di tenerezza, amore incondizionato, solidarietà, istinto materno come nei confronti di Duccio o di gentile discrezione, per non turbare o compromettere l’amicizia di un pretendente non corrisposto, il maestro Stefano Pucci, mente libera , aperta al cambiamento, l’unico che fosse stato  capace di restargli a  fianco,  come scudiero impavido di un moderno Don Chisciotte, nelle sue utopiche battaglie al femminile. Al primo approccio, il lettore si trova dinanzi un’ architettura  umanamente composita , un labirinto di personaggi in antitesi con la  linearità della trama. Una prima lettura, richiede un’analisi strutturalista e/o formalista, per capire come in una forma elegante, mai aulica,  ma con  toni  di matura raffinatezza estetica, l’Abbadessa fa sì, che  il valore funzionale  del singolo personaggio sia determinato dall’interagire, intersecarsi, scontrarsi con gli altri. L’autrice chiarisce subito, fin dalle prime pagine, qual è il messaggio che vuole veicolare, il messaggio profondo, la “substantifique moëlle”, per usare le parole dello scrittore francese François Rabelais,  nel romanzo satirico “Gargantua e Pantagruele”: la rivendicazione di pari diritti e dignità tra donne e uomini, la messa in discussione dell’autoritarismo patriarcale ………, perchè Fiammetta  credeva che :<<...le donne dovessero essere sempre libere di costruirsi il proprio destino>>. Ma cosa farà vacillare l’equilibrio fiorentino della “giovin” maestra? L’incontro con l’amore ,la passione …..metterà in discussione certezze sedimentate, la  sua  stessa libertà  fisica e morale :<<quella stanza tutta per sé >>, che rimanda  al celebre saggio di Virginia Woolf , A room of one's own. "Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse", direbbe il Sommo Poeta,   ma in Fiammetta,  Galehault  è una conferenza  in cui Mario Valastro, poeta catanese,  autore di “versi arditi e autentici”,  presenta la sua opera, il “Satana trionfante”. Ed è subito sintonia totale, innamoramento “illusionale”,  parziale affinità elettiva che investe i loro corpi, ma non la loro anima. Cresciuto in una famiglia matriarcale e opprimente, amato in modo morboso, “sbagliato”,  dalle <<temibili>> sorelle Strazzeri, mamma e zia, impregnate di acido cloridrico, per lui l’amore è possesso ed asservimento  totale a chi possiede. Eppure, la sfrontatezza, l’atteggiamento impertinente e angelicamente disinibito della  maestrina fiorentina, l’avevano ammaliato, disorientato, turbato: << ...era penetrante nella critica….e capace di incartarlo con una delle sue espressioni acute e vagamente beffarde>>. Però,   sarebbe bastato plasmarla e, magari, trasformarla in una bambola da compagnia, nella stanza da ricamo,  delle sorelle Strazzeri. Purtroppo per Valastro,  Fiammetta, di recitare  la parte  della bambola alla Ibsen, rinunciando alla sua capacità speculativa, non ne aveva proprio voglia. In una Sicilia, di stampo feudale, con un’ organizzazione piramidale, padrone-servo, Fiammetta, dopo il viaggio di nozze, si renderà conto di aver vissuto : <<una scheggia di felicità fermata nel tempo e incastonata in un altrove>>, catapultata  negli anni più bui, di  un “basso medioevo” dell’Ottocento.. Una realtà così retrograda, bigotta, volutamente stagnante, poteva accettare che una donna sposata, potesse impudentemente gironzolare ,da sola, per le vie della città in ambienti degradati, dove regnavano miseria, povertà e abbandono….? Sembra udire,  il mormorio pettegolo e gattopardesco, che si  leva al suo incedere…..nei vicoli, nei circoli, nei barbieri,…..:<<Che scandalo! Che scandalo!!>>. E poi, cos’era quell’idea della “Sorellanza”? Di aiutare le mamme e i bambini indigenti? In fondo, : <<...i poveri c’erano e ci sarebbero sempre stati….>>. Una socialista!!! Ecco cos’era...L’abbadessa descrive i luoghi minuziosamente, nei dettagli , ipnotizzando  il lettore, “spingendolo” dentro la storia…...a passeggiare  accanto a Fiammetta  in Piazza Duomo piuttosto che lungo i viali di villa Bellini. Come un bravo detective, uno Sherlock Holmes  in gonnella, con lente di ingrandimento in mano, osserva e analizza le dinamiche, i giochi di potere che si instaurano all’interno di una coppia, soprattutto, quando  si alterano, s’invertono…...Nel suo doloroso percorso di crescita, la protagonista imparerà a riflettere su un principio della dinamica : ad un’ azione corrisponde  una reazione, ….però, non sempre nel campo umano,  uguale e contraria, ….la violenza del marito, l’unica arma di sottomissione, e la freddezza dell’amante , capace di sedurre ma inetto ad amare ;un vinto verghiano? Fiammetta, è sull’orlo del baratro, sta per precipitare,... ed ecco la “metamorfosi”: la crisalide si libera dal bozzolo, splendida farfalla che si  libra alta nell’aria,……. l’assegno inviatole da un editore  che ne apprezza i versi...è la libertà riconquistata, l’indipendenza economica, il punto di partenza  da cui ricominciare, consapevole che :<<molte delle grandi passioni delle donne sono rivolte ad uomini abietti…>>.

Ad maiora, Fiammetta!





La felicità dell’attesa
di Carmine Abate  Mondadori  2016

La gioia più bella concessa all’uomo consiste in un’attesa fiduciosa?
Da S’Agostino alla “Merica Bona”, da Hora a Los Angeles…. La ricerca della felicità di una famiglia di migranti, viaggi della speranza e ritorni alla ricerca della memoria ed un “cameo” letterario, una femme fatale dal neo ammaliatore, un amore perduto rimpianto per tutta la vita ,perché : << Si ama veramente una sola volta…..>>.


 Recensione di Liber Liber La Lettura di Rosy Franzò & Piero Pirosa

Il primo a partire fu Carmine Leto, il nonno paterno di cui porto il nome”. Così l’incipit dell’ ultimo romanzo di Carmine Abate, La felicità dell’attesa, edito da Mondadori. Una saga familiare che abbraccia quattro generazioni di Nostoi, i ritorni sentiti come sogno agognato, miraggi irraggiungibili che preludono ,quasi sempre, a laceranti partenze , gettando chi resta ad una solitaria, eterna elaborazione del “lutto dell’assenza”. Una storia epocale di emigrazione in tre continenti, osservata, narrata ed esplorata con la lente d’ingrandimento,  come solo <<  l’archeologo migrante>> Abate sa  scavare nei meandri della propria e nostra memoria. Lo scrittore affronta temi quali l’emigrazione e l’identità, la famiglia e l’amore, la ricerca delle proprie radici, ma anche dell’attesa del futuro, magnificamente “distillata” nell’esergo tratto dalle Confessioni di S. Agostino: <<I tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell’animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente è la visione, il presente del futuro è l’attesa>>. Si poteva pensare che la reiterazione  dell’argomento dell’emigrazione , <<tema tondo>> dell’autore, che permette di passare dal microcosmo al macrocosmo, perché nel primo c’è già tutto, della bella e solare Hora e del mondo arbërëshe , avrebbe portato ad un  progressivo appiattimento dell’ispirazione narrativa dell’Abate. Ed invece no, lo scrittore di Carfizzi  con stile <<real-affabulatorio>>, degno del realismo magico degli scrittori sudamericani, mette in scena una rappresentazione ora dal sapore della tragedia , ora della commedia sentimentale dal retrogusto amaro e malinconico, un crogiolo di sentimenti contrastanti,  eros e thanatos , hýbris e némesis…..…..la vendetta , come  dovere morale e sociale, come giustizia divina, specchio sincero e crudo, del nostro essere umani. La felicità dell’attesa è una specie di dittico con la Collina  del vento,  Premio Campiello  2012, tra  il paese  che resta e resiste e quello che parte, due facce della stessa medaglia, la metafora della vita di Calabria. Il romanzo trova ispirazione dalla vicenda di Carmine Leto e lo scrittore, ha raccontato, di essere stato stimolato da una fotografia del 1903 del nonno scattata a New York. :<<Non l’ho mai conosciuto ….però ultimamente mi avvolgeva in un alone di sguardi affettuosi….Non mi parlava, apriva appena la bocca e la richiudeva pentito, eppure riuscivo a intercettare l’eco del suo desiderio: che sapessi di lui, finalmente, dei suoi viaggi nella Merica Bona, della Grande Guerra ….>>. Inizia, un gioco di analessi e prolessi, piani temporali, generi narrativi e linguistici che abilmente si mescolano, e tante storie nella storia, dove “vero e verosimile” diventano un tutt’uno, dai contorni sfumati , meravigliosamente indistinguibili. La Grande guerra, Andy Varipapa “The Greek”, i grattacieli che sfidano la gravità … fanno da contorno alla love story fra Jon Leto, il protagonista di mezzo, e una giovanissima Norma Jean, non ancora Marylin Monroe, quando ancora aveva nei suoi occhi  vivi la felicità dell’attesa: <<Lo notò di colpo. Era un piccolo neo, così tondo e intrigante che pareva dipinto. Il volto della ragazza splendeva a pochi passi da lui e, ogni volta che si apriva al sorriso, il neo andava su e giù, spuntando solitario come una stella mattutina>>. Nel registro linguistico Abate ci disorienta, passando dall’io narrante  ad una polifonia di voci e ricorrendo ad un  uso più accentuato e diffuso del dialetto calabrese che si affianca all’arbëreshë con pari dignità, rivelando così in maniera cristallina, l’ ideale dello scrittore di “vivere per addizione”.




Le STANZE  dello SCIROCCO
     C’ era una volta…….
La Sicilia “mavàra” fra immobilismo e cambiamento
Recensione di Liber Liber La Lettura di Rosy Franzò & Piero Pirosa

Il traghetto ha appena lasciato il Continente, la Sicilia si avvicina e l’odore del mare inizia a confondersi con quello delle zagare…. << La vedi quella, Viki ? E’ Messina : la porta della Sicilia…….Attraversare lo Stretto per me è come varcare un confine immaginario, che separa la mia terra da...tutto il resto del mondo>>, così il notaio Enzo Saglimbeni alla figlia Vittoria,  nel  “nostos” verso la <<sua>> terra, il ritorno come un miraggio, un sogno agognato . Eppure Lui : <<pur  amando visceralmente la sua terra, aveva deciso di allontanarsene>>. Ricorda, l’immagine di Alfredo in Nuovo Cinema Paradiso di  Tornatore, quando rivolgendosi ad un indeciso Totò gli dice.<<Vattinni chista è terra maligna. Non tornare più, non ci pensare mai a noi, non ti voltare, non scrivere. Non ti fare fottere dalla nostalgia>>. Appunto, la nostalgia…..fai tutto per andartene, ma quel sentimento ben presto ti assale, ti soffoca, non ti lascia più………….Perchè? Glielo aveva predetto molti anni prima il suo amico Ciccio Ranieri :<<La Sicilia è mavàra. Quando uno se ne va, lei  gli fa la fattura: che se non torna  muore di nostalgia>>.
Le stanze dello scirocco , edito da Sperling & Kupfer, è il secondo romanzo dell’autrice  netina Cristina Cassar Scalia, medico <<prestato>> all’arte della scrittura. Come nel suo  primo romanzo, “La seconda estate>>, l'ambientazione è isolana. Dopo Capri è la Sicilia a fare da sfondo alla storia di Vittoria  e della famiglia del notaio Saglimbeni , da Roma a Montuoro, paesino immaginario non lontano da Palermo, il tutto inscritto, come un romanzo di Manzoni,  in un contesto storico ben preciso  e documentato, caro all’autrice, la contestazione studentesca del 1968. E’ la narrazione di una storia d’amore, molto travagliata, fra Vittoria, ventiduenne studentessa di architettura, ribelle, caparbia, anticonforrmista: <<Siciliana è!>>,  ripete spesso, con orgoglio il padre Enzo, e l’ombroso, tradizionalista, maschilista ….Diego, quasi  un personaggio di Brancati, in superficie, ma pirandelliano interiormente, con il peso di una maschera da portare per nascondere ataviche paure e fragilità. Due mondi diversi, una dualismo inconciliabile di pensare la vita, ma  infine  complementari, due facce di una stessa medaglia. L’autrice , come un moderno Caravaggio, maestro di  luce e ombre, <<dipinge>> una “storia di Sicilia”, una tela che trasuda dei suoi profumi, della sua storia, della sua gente, pregna di contraddizioni, degli ipocriti <<pare brutto>>, dei pregiudizi, ambiguità e  miserie, eppure  capace di slanci improvvisi quanto isolati. E’ un affresco di paesaggi assolati, suggestivi, quasi onirici. La Sicilia, con le sue ondulazioni  e infinite sfaccettature, è il colore di fondo sul quale vengono  impressi, mediante sapienti pennellate, personaggi ben caratterizzati, dai caratteri forti, come quelli femminili ad altri  meschini, bigotti, vestiti di quella pigra <<sicilitudine>>   di duplice polarità ,di contrasti, di luci e di tenebre, di comico e tragico. L’ambientazione sembra un film di Sergio Leone, con  tempi  narrativi volutamente  dilatati,  in un alternarsi di punto e contrappunto, fra il canto “rivoluzionario e progressista” di Vittoria, delle sue minigonne,  della sua MG rossa,  del giovane prete seguace di Don Lorenzo Milani e della scuola di Barbiana, delle rivolte studentesche a Valle Giulia, della legge Basaglia….e il mormorio gattopardesco  della gente pettegola,  del barbiere, del circolo dei nobili, del perbenismo ipocrita e “bacchettone” dello zio Monsignore, povero “mestierante” della fede, sempre al sicuro nella sua fredda sagrestia ,colpevoli attori  di  una Sicilia decadente e immobile, tragico coro greco di Tancredi  di Tomasi di Lampedusa: <<Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Vittoria riesce a portare un po’ di “aria fresca”, in un mondo asfittico e di ancestrale  staticità  , come quella che  si respira nelle dimore nobiliari siciliane, in piccoli ipogei : le stanze dello scirocco, quando nelle  giornate di “calura”,   il sensuale vento di sud-est , come diceva  Alceo : << dissecca la mente e le ginocchia>>.









mercoledì 21 dicembre 2016


L’EROE DISCRETO
di Mario Vargas Llosa Einaudi

     C’è chi dice no! …..
 Due storie  parallele, ”Dos hombres vertical”,  una terra piena di magia,  poesia e contraddizioni
 A dire no, nel nuovo libro del grande romanziere peruviano, sono due uomini con una precisa idea dell'onore e dell'onestà , due <<Don Chisciotte>> moderni, immersi in un mondo spogliato di ogni eroismo possibile. Due storie che corrono parallelamente, apparentemente destinate a non incontrarsi tra di loro, che invece, attraverso un semplice meccanismo narrativo, diventano complementari e complici,  sapientemente raccontate su piani temporali perfettamente scorrevoli e intriganti. Esse si dipanano in luoghi differenti e indipendentemente l’una dall’altra. Della prima, è protagonista un piccolo imprenditore di Piura, sulla costa nel nord del Perù, Felicito Yanaqué, quando riceve una lettera di minaccia con un ragnetto al posto della firma . Figlio di un povero mezzadro meticcio, innalzatosi nell’arco di una vita d’immane fatica, allo status di titolare di una fiorente ditta di trasporti, oppone un netto rifiuto a quella miserabile richiesta di <<pizzo>>, per non cadere dalle vette di un’esistenza proba, di una moralità orgogliosa, di una fedeltà  agli insegnamenti paterni, che gli impediscono  di trasgredire l’unica eredità lasciatagli da quell’hombre vertical: «Nella vita, figlio, non lasciare che nessuno ti metta i piedi in testa». L'altra ha per protagonista Rigoberto, un manager di Lima, ormai prossimo alla pensione, desideroso di godersi il resto della  sua esistenza viaggiando con la moglie in Europa e crescendo il figlio. La vita, però, si diverte a scompigliare i suoi piani: il suo capo, ma soprattutto grande amico Ismael, in barba alla veneranda età, decide di sposare la governante Armida, per impedire che il suo patrimonio venga dilapidato dai figli, e chiede a Rigoberto di fargli da testimone. Dire che i due figli del ricco magnate, già soprannominati "le iene" per la loro condotta,  scateneranno tutta la loro rabbia e la loro avidità contro questa decisione e chi l'ha sostenuta, è facile previsione. In più, a turbare la quiete del protagonista, sono le strane visioni del figlio, a cui non sa se credere…...Leggere questo romanzo è come superare una linea di confine , uno “stargate”, per immergerci in <<un cosmo e microcosmo>> sconosciuto, dal carattere esotico, sensuale, enigmatico...….. quasi <<fatato>>,  che  sicuramente, non ci appartiene e che, forse per questo, ci ammalia, ci affascina, e inaspettatamente, ci coinvolge. La meta di questo viaggio è il Perù, un paese moderno ed antico allo stesso tempo, pieno di contraddizioni ed emotivamente suggestivo. L’autore ce lo mostra intingendo la penna nelle descrizioni, nei profumi, nella personalità degli abitanti, nella forza o nelle debolezze che caratterizzano i vari personaggi. Un Perù che sta cambiando, impregnato di ottimismo neoliberale, un po’ più democratico e un po’meno «diseguale» . Il tema centrale del romanzo è l’uomo comune, l’uomo della strada , sconosciuto, silenzioso, trasparente, <<l’eroe discreto>> , capace di esercitare la propria moralità , il proprio <<eroismo etico>>, senza ostentazione , rifuggendo il clamore  e qualsiasi  edonistica sovraesposizione. Il romanzo sta tra il giallo e la commedia dal sapore amaro, sublime esempio di maestria narrativa, di : << un romanzesco che induce uno stato prossimo all’ipnosi>>. Vargas Llosa, dipinge una tela in cui sono impresse venature  di tragedie esistenziali  colorate  da <<chiazze>> di umorismo, di ironia, di occulte credenze, come nella migliore tradizione della letteratura sudamericana. E’ intriso di misteri, allusioni magiche, inquietanti visioni ……..,siamo nel <<brodo primordiale del realismo magico>>  del suo amico nemico Gabriel Garcìa Màrquez,  di Jorge Luis Borges ,di Isabel Allende…., dove il realismo quotidiano viene sempre contrapposto al soprannaturale, in una continua  dialettica fra razionalità e superstizione. L’indovina Adelaide richiama alla mente Pilar Ternera , la chiaroveggente di “Cent’anni di solitudine” in grado di predire il futuro con le carte. Ma, mentre in Màrquez c’è una concezione circolare della storia, senza la speranza di alcun progresso,  in Vargas Llosa, c’è il “sogno” di  un futuro migliore , come fa dire al sergente Lituma, per questo: < Perù di oggi, con gli aspetti positivi e quelli negativi». A mille anni da Macondo! E……, come asserisce Claudio Magris :<< Ci sono scrittori che ci cambiano la vita, perché ci aprono gli occhi, il cuore, la mente: Vargas Llosa è uno di questi >>.




  




LA VERITA' SUL CASO HARRY QUEBERT
di Joel Dicker  Bompiani



Due scrittori di successo, un’adolescente uccisa, un manoscritto sepolto….
Niente è come sembra in una comunità dove la menzogna è un’arte

  Recensione di  Liber Liber La Lettura di  Rosy Franzò & Piero Pirosa


<<Ho sempre avuto delle ossessioni! Il caso più emblematico è la scrittura…. e per   viverla appieno bisogna tramutarla in un’ossessione positiva>>. Così, ha risposto ai giornalisti, il giovane scrittore svizzero Joël Dicker , autore del best-seller, La verità sul caso Harry Quebert , edito da Bompiani. Il romanzo di Dicker  sta fra il noir , il poliziesco e il giallo deduttivo, pregno di mistero, di suspense . Tuttavia, è molto di più ! E’ romanzo   d’amore! Di un  amore <<proibito>>, con  chiari  riferimenti a “ Lolita” di Vladimir  Nabokov, noto ai più, per la trasposizione cinematografica di Stanley Kubrik. E’ un amore tragico, puro, senza facili oscenità, quasi shakespeariano. La trama intricata ma avvincente, mescola abilmente piani temporali e generi narrativi. E’ un gioco di scatole cinesi, un romanzo  nel romanzo. Un percorso a ostacoli, un intreccio di menzogne e verità,  tenuti insieme da uno stile che riesce a mantenere la propria coerenza, con tinte camaleonticamente ironiche, divertenti, tragiche, sensualmente intense ed eleganti. Colpi di scena, ritmo serrato, alternanza di voci e prospettive, gioco di analessi e prolessi, torbidi segreti, barlumi di realtà e apparenze….. non permettono al lettore di distogliere lo sguardo dal libro e di assumere, capitolo dopo capitolo, i panni del burbero Maigret di  Georges Simenon o  dell’eccentrico  Nero Wolfe  di  Rex Stout, immersi alla ricerca del colpevole, nelle fredde e fosche  atmosfere di Aurora,…..  nuova Twin Peaks.
Estate 1975. Nola Kellergan, un’adolescente, scompare misteriosamente nella tranquilla cittadina di Aurora. Le ricerche della polizia non danno alcun esito. Primavera 2008, New York. Marcus Goldman, giovane scrittore di successo, sta vivendo uno dei rischi del suo mestiere, è bloccato dalla “Sindrome della pagina bianca”. Ma qualcosa di imprevisto accade nella sua vita: il suo amico e mentore Harry Quebert,  viene accusato di avere ucciso la giovane Nola. Il cadavere della ragazza viene ritrovato nel giardino della sua villa . Convinto dell’innocenza di Harry, Marcus abbandona tutto e va nel New Hampshire per condurre la sua personale inchiesta, dopo oltre trent’anni, deve dare risposta a una domanda, chi ha ucciso Nola Kellergan? 
 L'autore, all’inizio di ogni capitolo,  inserisce uno scambio di battute tra Harry e Marcus, sull'arte della scrittura. Tra questi, cattura l’attenzione il seguente: <<E vedrai, Marcus: qualcuno vorrà farti credere che i libri hanno a che fare con le parole, ma è falso, in realtà, hanno a che fare con le persone>>. Niente di più vero! La narrativa è una partita a due……, fra due persone, lo scrittore  e il lettore.