mercoledì 21 dicembre 2016


L’EROE DISCRETO
di Mario Vargas Llosa Einaudi

     C’è chi dice no! …..
 Due storie  parallele, ”Dos hombres vertical”,  una terra piena di magia,  poesia e contraddizioni
 A dire no, nel nuovo libro del grande romanziere peruviano, sono due uomini con una precisa idea dell'onore e dell'onestà , due <<Don Chisciotte>> moderni, immersi in un mondo spogliato di ogni eroismo possibile. Due storie che corrono parallelamente, apparentemente destinate a non incontrarsi tra di loro, che invece, attraverso un semplice meccanismo narrativo, diventano complementari e complici,  sapientemente raccontate su piani temporali perfettamente scorrevoli e intriganti. Esse si dipanano in luoghi differenti e indipendentemente l’una dall’altra. Della prima, è protagonista un piccolo imprenditore di Piura, sulla costa nel nord del Perù, Felicito Yanaqué, quando riceve una lettera di minaccia con un ragnetto al posto della firma . Figlio di un povero mezzadro meticcio, innalzatosi nell’arco di una vita d’immane fatica, allo status di titolare di una fiorente ditta di trasporti, oppone un netto rifiuto a quella miserabile richiesta di <<pizzo>>, per non cadere dalle vette di un’esistenza proba, di una moralità orgogliosa, di una fedeltà  agli insegnamenti paterni, che gli impediscono  di trasgredire l’unica eredità lasciatagli da quell’hombre vertical: «Nella vita, figlio, non lasciare che nessuno ti metta i piedi in testa». L'altra ha per protagonista Rigoberto, un manager di Lima, ormai prossimo alla pensione, desideroso di godersi il resto della  sua esistenza viaggiando con la moglie in Europa e crescendo il figlio. La vita, però, si diverte a scompigliare i suoi piani: il suo capo, ma soprattutto grande amico Ismael, in barba alla veneranda età, decide di sposare la governante Armida, per impedire che il suo patrimonio venga dilapidato dai figli, e chiede a Rigoberto di fargli da testimone. Dire che i due figli del ricco magnate, già soprannominati "le iene" per la loro condotta,  scateneranno tutta la loro rabbia e la loro avidità contro questa decisione e chi l'ha sostenuta, è facile previsione. In più, a turbare la quiete del protagonista, sono le strane visioni del figlio, a cui non sa se credere…...Leggere questo romanzo è come superare una linea di confine , uno “stargate”, per immergerci in <<un cosmo e microcosmo>> sconosciuto, dal carattere esotico, sensuale, enigmatico...….. quasi <<fatato>>,  che  sicuramente, non ci appartiene e che, forse per questo, ci ammalia, ci affascina, e inaspettatamente, ci coinvolge. La meta di questo viaggio è il Perù, un paese moderno ed antico allo stesso tempo, pieno di contraddizioni ed emotivamente suggestivo. L’autore ce lo mostra intingendo la penna nelle descrizioni, nei profumi, nella personalità degli abitanti, nella forza o nelle debolezze che caratterizzano i vari personaggi. Un Perù che sta cambiando, impregnato di ottimismo neoliberale, un po’ più democratico e un po’meno «diseguale» . Il tema centrale del romanzo è l’uomo comune, l’uomo della strada , sconosciuto, silenzioso, trasparente, <<l’eroe discreto>> , capace di esercitare la propria moralità , il proprio <<eroismo etico>>, senza ostentazione , rifuggendo il clamore  e qualsiasi  edonistica sovraesposizione. Il romanzo sta tra il giallo e la commedia dal sapore amaro, sublime esempio di maestria narrativa, di : << un romanzesco che induce uno stato prossimo all’ipnosi>>. Vargas Llosa, dipinge una tela in cui sono impresse venature  di tragedie esistenziali  colorate  da <<chiazze>> di umorismo, di ironia, di occulte credenze, come nella migliore tradizione della letteratura sudamericana. E’ intriso di misteri, allusioni magiche, inquietanti visioni ……..,siamo nel <<brodo primordiale del realismo magico>>  del suo amico nemico Gabriel Garcìa Màrquez,  di Jorge Luis Borges ,di Isabel Allende…., dove il realismo quotidiano viene sempre contrapposto al soprannaturale, in una continua  dialettica fra razionalità e superstizione. L’indovina Adelaide richiama alla mente Pilar Ternera , la chiaroveggente di “Cent’anni di solitudine” in grado di predire il futuro con le carte. Ma, mentre in Màrquez c’è una concezione circolare della storia, senza la speranza di alcun progresso,  in Vargas Llosa, c’è il “sogno” di  un futuro migliore , come fa dire al sergente Lituma, per questo: < Perù di oggi, con gli aspetti positivi e quelli negativi». A mille anni da Macondo! E……, come asserisce Claudio Magris :<< Ci sono scrittori che ci cambiano la vita, perché ci aprono gli occhi, il cuore, la mente: Vargas Llosa è uno di questi >>.




  




LA VERITA' SUL CASO HARRY QUEBERT
di Joel Dicker  Bompiani



Due scrittori di successo, un’adolescente uccisa, un manoscritto sepolto….
Niente è come sembra in una comunità dove la menzogna è un’arte

  Recensione di  Liber Liber La Lettura di  Rosy Franzò & Piero Pirosa


<<Ho sempre avuto delle ossessioni! Il caso più emblematico è la scrittura…. e per   viverla appieno bisogna tramutarla in un’ossessione positiva>>. Così, ha risposto ai giornalisti, il giovane scrittore svizzero Joël Dicker , autore del best-seller, La verità sul caso Harry Quebert , edito da Bompiani. Il romanzo di Dicker  sta fra il noir , il poliziesco e il giallo deduttivo, pregno di mistero, di suspense . Tuttavia, è molto di più ! E’ romanzo   d’amore! Di un  amore <<proibito>>, con  chiari  riferimenti a “ Lolita” di Vladimir  Nabokov, noto ai più, per la trasposizione cinematografica di Stanley Kubrik. E’ un amore tragico, puro, senza facili oscenità, quasi shakespeariano. La trama intricata ma avvincente, mescola abilmente piani temporali e generi narrativi. E’ un gioco di scatole cinesi, un romanzo  nel romanzo. Un percorso a ostacoli, un intreccio di menzogne e verità,  tenuti insieme da uno stile che riesce a mantenere la propria coerenza, con tinte camaleonticamente ironiche, divertenti, tragiche, sensualmente intense ed eleganti. Colpi di scena, ritmo serrato, alternanza di voci e prospettive, gioco di analessi e prolessi, torbidi segreti, barlumi di realtà e apparenze….. non permettono al lettore di distogliere lo sguardo dal libro e di assumere, capitolo dopo capitolo, i panni del burbero Maigret di  Georges Simenon o  dell’eccentrico  Nero Wolfe  di  Rex Stout, immersi alla ricerca del colpevole, nelle fredde e fosche  atmosfere di Aurora,…..  nuova Twin Peaks.
Estate 1975. Nola Kellergan, un’adolescente, scompare misteriosamente nella tranquilla cittadina di Aurora. Le ricerche della polizia non danno alcun esito. Primavera 2008, New York. Marcus Goldman, giovane scrittore di successo, sta vivendo uno dei rischi del suo mestiere, è bloccato dalla “Sindrome della pagina bianca”. Ma qualcosa di imprevisto accade nella sua vita: il suo amico e mentore Harry Quebert,  viene accusato di avere ucciso la giovane Nola. Il cadavere della ragazza viene ritrovato nel giardino della sua villa . Convinto dell’innocenza di Harry, Marcus abbandona tutto e va nel New Hampshire per condurre la sua personale inchiesta, dopo oltre trent’anni, deve dare risposta a una domanda, chi ha ucciso Nola Kellergan? 
 L'autore, all’inizio di ogni capitolo,  inserisce uno scambio di battute tra Harry e Marcus, sull'arte della scrittura. Tra questi, cattura l’attenzione il seguente: <<E vedrai, Marcus: qualcuno vorrà farti credere che i libri hanno a che fare con le parole, ma è falso, in realtà, hanno a che fare con le persone>>. Niente di più vero! La narrativa è una partita a due……, fra due persone, lo scrittore  e il lettore.







martedì 20 dicembre 2016

 LA SECONDA ESTATE
 di Cristina Cassar Scalia  edizioni Sperling & Kupfer

   Recensione di  Liber Liber La Lettura di  Rosy Franzò & Piero Pirosa

Ci sono luoghi che ammaliano, stregano, incantano, “ubriacano i sensi”, non solo  per la bellezza naturalistica o storica ma  in quanto capaci di evocare persone che li hanno già vissuti, in un'altra vita , in un’altra stagione; se ne può  udire  il suono delle voci, immaginare con gli occhi della mente ciò che è stato. Ci sono luoghi eternamente sospesi tra cielo e terra , tra “l’estetismo decadente di pochi e lo spirito eccentrico di molti”. Capri è uno di questi: <<Un capolavoro di architettura costruito senza architetti>>.  E’ come superare  una linea di confine , uno “stargate”,in cui la dimensione spazio-tempo si annulla,  per immergerci in  un cosmo e microcosmo sconosciuto, dal carattere esotico, sensuale, enigmatico, d’ inquietante bellezza.….. quasi fatato,  che  sicuramente non ci appartiene ma ci seduce, ci affascina, e inaspettatamente, ci coinvolge. E poi c’è lo stile Capri, come lo definì negli anni venti l’architetto Edwin Cerio. Ma  cos'è ? E’ bellezza, leggerezza, eleganza minimale e senza orpelli, vita sorridente , semplice, meno artificiosa possibile; nasce nella notte dei tempi e il primo  artefice ne  fu Tiberio e poi,... Axel Munthe, Curzio Malaparte, Pablo Neruda...Audrey Hepburn, Brigitte Bardot; culmina negli anni ‘60 del novecento, gli anni del boom economico ,della <<<dolce vita>> di felliniana memoria. Il suo cuore pulsante è la piazzetta, i rintocchi dell’orologio battono  le ore della mondanità che sciama fra i tavolini, la colonna sonora è <<Luna caprese>>, la cui eco rimbalzando sui  Faraglioni, guardiani dell’isola, si diffonde nell’aria, “ruffiana complice” di amori impossibili, proibiti da un “moralismo” di facciata, ipocrita e bigotto. Sarà stato un “folletto spiritoso” a sussurrare  a Cristina Cassar Scalia  di ambientare con incosciente coraggio,  La seconda estate (Sperling & Kupfer), in un set naturale come Capri, così “sfruttato”, innumerevolmente reiterato, da letterati, poeti, cineasti...  senza temere il peso del confronto o il rischio di un progressivo appiattimento narrativo?  Ma i folletti sono ironicamente dispettosi, amano sbigottire... Ed è così che l’autrice, al suo esordio, stupisce con una lettura intensa, verga pagine increspate di passione, di romanticismo ottocentesco; il romanzo si dipana con una ”virtuosistica” conduzione dell’intreccio fino  a quando la scrittrice come direbbe Pirandello, “piglia il fatto per la coda” concentrandolo in un “punto focale”, al culmine,  quando la narrazione  troverà esplicitazione nella linearità di una “fiaba d’amore” vissuta due volte.  Il ritmo, come composizione musicale (Camilleri docet!) passa  dai tempi mozartiani dell’allegro e andante  al largo verdiano  di :<< ...croce e delizia al cor >>. Piove,....piove  sulle strade di Roma un freddo pomeriggio di marzo, anonimo, uggioso,  piove sulla vita di Lea, sente le gocce d’acqua rigarle la pelle come lacrime. Ed ecco, l’elemento sorpresa  che squarcia un ventennale oblio, dalle cui profonde viscere  si materializza un volto, Giulio, sì proprio lui , Giulio Valenti.  Basta uno sguardo, un fugace saluto e …...sembra ieri: <<ancora senza respiro, con il cuore in tumulto e un nodo in gola>>. Eppure :<< È una storia lontana… tanto lontana….Vent’anni e una vita>>. Tutto sparisce  intorno a lei, chiude gli occhi, e con un viaggio a ritroso, dai labirinti della mente emergono ricordi sfocati,  poi sempre più nitidi ...variopinte case di  pescatori che come: <<emanazione della roccia>> si tuffano a mare , barche tirate a riva in un tutt’uno con la vita quotidiana. Tutto è saturo d’ azzurro, giallo e verde. Corre l’anno 1962 a Marina Grande e Lea Corsi  è a Capri. Un  incontro fatale e nulla sarà come prima. E’ sintonia totale, affinità elettiva che investe anima e corpo, intimità viscerale radicata nell’inconscio, chimica pura, incontrollabile, sentimentalmente irrazionale. E’ felicità repentina, fugace, difficile da sostenere per una donna sposata in quegli anni dove il :<<Matrimonio è per sempre>>, consumata nell’intimità di una villa misteriosa   per perdersi nell’attimo fuggente di un tragica sciagura. Poi niente, un lungo distacco, giorni interminabili di silenzio e un “prezioso segreto”  che lega presente e passato. Galeotto è un incontro a teatro e il fato terribile e capriccioso offre ai protagonisti una seconda opportunità. La seconda estate è una gemma letteraria che si rifà alla purezza dell’amore cortese o fin amor cantato dai trovatori provenzali del XII secolo, la Cassar Scalia, con linguaggio colto, quasi altero, descrive i luoghi minuziosamente, nei dettagli , ipnotizzando  il lettore, “spingendolo” dentro la storia…...a passeggiare lungo la via Krupp, a villeggiare alla Canzone del mare, alla Migliera o sul monte Solaro piuttosto che  navigare fino al faro di Punta Carena, per rubare al tramonto  gli ultimi raggi di sole, per vivere la notte fino all’alba. Come pittori, con gli occhi della fantasia, ci immaginiamo di dipingere  una tela, con Lea e Giulio a bere un martini ai tavolini, mentre Liz Taylor e Richard Burton si scambiano  baci furtivi, Brigitte Bardot, a piedi nudi, si offre ai lampi al magnesio dei paparazzi e in  un tavolino, seminascosto, Pablo Neruda sottovoce declama la sua: <<Capri, regina di rocce / nel tuo vestito color giglio e amaranto / son vissuto per svolgere dolore e gioia / la vigna di grappoli abbaglianti conquistati nel mondo / il trepido tesoro d’aroma e di capelli / lampada zenitale, rosa espansa, arnia del mio pianeta….>>, l’isola dell’amore, un pezzo dell’Olimpo donato agli umani, dove l’impossibile diventa possibile, anche una seconda volta, per ….Una seconda estate.



LE STREGHE DI LENZAVACCHE
 di Simona Lo Iacono edizioni E/O 2016

Recensione di Liber Liber La lettura di Rosy Franzò & Piero Pirosa

<<La prima volta in cui ti vidi eri talmente imperfetto che pensai che nonna Tilde avesse ragione. Avrei dovuto mettere sotto la tua culla otto pugni di sale, bere acqua di pozzo e invocare le anime del purgatorio. Poi dire tre volte: Maria Santissima abbi pietà di lui, affidarti alle mani del primo angelo in volo e assicurarti al collo una catena della buona morte >>. Così l’incipit dell’ultimo romanzo di Simona Lo Iacono, “Le streghe di Lenzavacche” (E/O edizioni), magistrato “prestato” all’arte della scrittura. L’autrice narra due storie che corrono parallelamente, anche se temporalmente, si dipanano indipendentemente l’una dall’altra, apparentemente destinate a non incontrarsi tra di loro, che invece, attraverso un semplice meccanismo narrativo, diventano complementari e complici,  sapientemente raccontate su piani letterari perfettamente scorrevoli e intriganti. Al primo approccio, il lettore si trova dinanzi ad una architettura composita, ad un labirinto di personaggi e vicende umanamente complesse, dove  il valore funzionale  del singolo  è determinato e valorizzato dall’interagire, intersecarsi, scontrarsi, sovrapporsi con gli altri, all’interno di un tutt’uno, che dopo un iniziale  <<caotico mosaico>>,  troverà esplicitazione  nella linearità  di una  tragica  storia di solitudine, emarginazione, ignorante pregiudizio,…..Con una costruzione narrativa intensa, appassionante, struggente, “condita” con raffinatezza poetica , l’autrice  ci conduce per mano  tra le stradine,…. le <<trazzere >> del, piccolo e sperduto, borgo siciliano di Lenzavacche :<< Un piccolo centro che gravita intorno a una chiesa e a una piazza>>, sospeso fra mare e terra , <<nomen omen>>,  dicevano i Padri latini,  colorandolo qua e là,  con sapienti pennellate , di un suggestivo “realismo magico”  meno ingenuo e spirituale di quello sudamericano, anni luce dal mondo fiabesco di Cent’anni di solitudine. Corre l’anno 1938, l’Italia il sabato veste  alla “balilla”…., i ragazzini cantano “Fischia il sasso” ed anche a Lenzavacche :<<Ululano le sirene che inneggiano al fascio>>. Ed è proprio in questa atmosfera oscurantista, che esalta  la teoria del darwinismo sociale, la purezza della razza , la forza, la prestanza fisica, la salute….  che dal ventre ,sacro e profano, di mamma Rosalba,  nasce Felice, tra le fragranze dell’ ibiscus,  e le tisane di camomilla e cardamomo per il sonno, di aloe e valeriana per la fantasia,  di  nonna Tilde, esperta di erbe officinali di cui  ne conosce  i più reconditi  e oscuri segreti e principi curativi, “pioniera ante litteram” della  moderna fitoterapia. In una famiglia matriarcale, declinata al femminile, Felice  vive  oggettivamente da  infelice o, come si dice oggi, con un sottile e perfido velo di ipocrisia, da “diversamente felice”. Un bambino malformato, punito dalla “fatal sorte”, destinato ad una eterna solitudine, ad una esistenza che nega qualsiasi speranza di riscatto umano piuttosto che sociale : <<Ovunque si faceva il vuoto, Felice.  A qualsiasi orario rincorrevo per te la vita, e la vita fuggiva, si scansava lesta al tuo passaggio, era intuitiva e feroce, la vita, ti fiutava come una bestia pericolosa e – inesorabilmente – ti lasciava indietro….>>…..eppure, come un piccolo Ulisse:<< ..fatti non foste a viver come bruti…..>>,  è assetato di conoscenza, ama ascoltare le storie….. Il marchio del diverso, la “lettera scarlatta”  della vergogna, nella società omologata del fascio littorio, lo seguono  come fedeli segugi, non solo perchè deforme e senza parola, ma colpevole discendente di: <<un gruppo di "streghe" del Seicento ,che erano in realtà un gruppo di mogli abbandonate, donne gravide, figlie reiette o emarginate,  riunitesi in una casa ai bordi del paese e bruciate come seguaci del diavolo. Sono le “escluse”, “le dimenticate”, le “ultime” per eccellenza. Ma nel gruppo trovano forza, comprensione, condivisione. Iniziano quindi a vivere una esperienza comunitaria>>. Ritorna in mente, lo stesso cupo clima di <<caccia alle streghe>> , di un grande romanzo  dei primi anni novanta, di Sebastiano Vassalli, La Chimera. Due donne a confronto, Antonia e Rosalba, “innocenti colpevoli” l’una per la propria bellezza, l’altra per la sua innata indipendenza, per essere una folle visionaria sognatrice…:<<La prudenza non si addice all’amore, è una nemica dell’improvvisazione, guasta lo slancio, la fantasia, la felicità>>, ….e in mezzo? Un “popolino”, né buono né cattivo, solo ignorante e pericoloso, incline ad una pazzia collettiva, schiavo della sua superstizione  che ne condiziona il modo di pensare e di agire, che sfocia in un fanatismo religioso e di intolleranza culturale. Tilde e Rosalba sono vittime di un  perfido antifemminismo che impone di fuggire la donna “arma del demonio, causa prima della nostra perdizione :<<Sono tollerate la moglie che assicura la progenie, la madre che alleva i figli, la tessitrice operosa, la contadina instancabile, la vecchia fidata e silenziosa, la suora murata nella sua clausura… ma tutte le altre sono sospette, in particolare le giovani, belle e libere,  che suscitano odio e …...inconfessabili desideri>>. Con un” pizzico” di teatralità pirandelliana e il senso critico e illuminista di Manzoni , l’autrice “confeziona” un romanzo storico , dove finzione e verità si mescolano ,si confondono , s’intrecciano in una favola dalla morale amara, dai contorni sfumati, meravigliosamente indistinguibili. La scrittrice, <<entra nel romanzo>>,  ne prende parte,…....sceglie con chi stare…..perchè ha la capacità di saper ascoltare, …. ode le strazianti   “urla del silenzio” di Felice,  di sua madre,  degli ultimi,   i diseredati per antonomasia della Storia,  sente la loro voglia di vivere in pienezza, di conoscere, leggere storie….e allora, che fa? Semplice…..gli dà voce, gli dona  metaforicamente  la parola ….il potere della parola, per avere :<<…..un'opportunità di riscatto, di raggiungere una conquista interiore, ….per ribaltare il destino...>>, contrapponendo lo spirito anarchico, libero da ipocriti e vili legami, delle “Streghe” , a quello miseramente acritico, moralmente “bacchettone”,  della massa inerme, senza energia…...senza vita, sottomessa alla imperante “comunicazione” del regime totalitario dell’epoca. In una società dogmatica e autoreferenziale, che non contempla, disprezza, aborra la diversità e se potesse, ricorrerebbe al Monte Taigeto,  come metodo di selezione naturale per una razza superiore, non tutti “abbassano la testa”, ci  sono  “angeli umani”,  paladini di giustizia, che vanno al di là delle apparenze, che valorizzano  le più impensabili “variazioni della natura umana” , perchè “risorse” , portatrici dei  valori universali di solidarietà,  accettazione dell’altro, amore verso il prossimo….che forse la “rivoluzione del cristianesimo” ha smarrito. Ed ecco il  plot twist, che cambia la storia, che sovverte la rassegnazione, che imprime energia cinetica ad un mondo d’ancestrale staticità, ...fa sobbalzare il lettore, …...lo coglie di sorpresa: mamma Rosalba, mette la toga dell’avvocato, e va alla ricerca di una legge, mai applicata, che permette a Felice, figlio di un  “Dio minore”, di frequentare la scuola, seppure in classi “differenziali, dandogli una chance, una seconda possibilità di riuscita. Qui, la sua storia s’incrocia con quella di Alfredo, maestro elementare, che con l'allievo disabile arriva al numero minimo necessario per tenere la classe che altrimenti verrebbe cancellata: <<E' un incantatore: racconta storie per commuovere ed emozionare. Non vuole fare dei soldati, ma degli esseri pensanti, responsabili. Aiutare i piccoli a trovare la loro vera vocazione >>. L’autrice, crea un triangolo che funge da “protesi” per il bambino, al cui ultimo vertice colloca “U dutturi Mussumeli”, mente aperta, stravagante e libertino, capace di assaporare, succhiare  la vita fino al midollo, perché la  :<< normalità è questione di postazione e varia a seconda della trincea dietro la quale ci acquattiamo >>. Nel romanzo, La Lo Iacono, dà un ruolo da protagonisti ai libri, alla letteratura :<<finestre sul mondo e farmaci per l’anima….>>, per capire, conoscere ,interpretare, tradurre,  le innumerevoli e cangianti, sfaccettature della realtà :<<Coltivo questa idea oltraggiosa che la letteratura possa fungere da corazza, che sia la coltre dei cento nodi, il manto del re nudo>> .Nel registro linguistico,  passa  con “galateo letterario”,  dall’io narrante, all’epistola... ad una polifonia di voci , colonna sonora di una  storia dal retrogusto  apparentemente fiabesco, pregna di suoni, odori ,colori mediterranei, mescolati  a  trame esoteriche, a leggende misteriose che si perdono nella notte dei tempi,  come i “cunti”,  lentamente declamati, nelle afose notti siciliane, da nonnine  eternamente ammantate a nero o da  vecchi saggi con la <<coppola>>, nei cortili, nei vicoli, nelle piazzette ... di una Sicilia che non c’è più.





















domenica 18 dicembre 2016

LO STRANO VIAGGIO DI UN OGGETTO SMARRITO

 di Salvatore Basile Garzanti Libri 2016 
Recensione di Liber Liber La Lettura di Rosy Franzò & Piero Pirosa

Soffia il vento con voce roca, saturo di lacrime non versate, mentre timidamente  si perde all’orizzonte, soffia impetuoso sul mare d’autunno,  sulle bandierine rosse della spiaggia deserta e solitaria, soffia sulla vita di Michele, immersa in un mondo cristallizzato in un istante di tanti anni prima. La  scuote, la percuote,  per svegliarla da un lungo sonno. Un flashback, un istantaneo viaggio a ritroso  ed è tutto lì, il dolore dell’abbandono, vigliaccamente nascosto, un virus ricombinato col proprio genoma, perfidamente immobile come un rettile pronto al morso, coperto da un’ opaca patina di oblio, immortalato nelle immagini della mente, mentre iniziano a susseguirsi,  a diventare sequenza  di fotogrammi danneggiati dalla vetustà, ma nitidi, uno spezzone di un film malinconico, nostalgico, triste: un bambino  sorridente, con la cartella a tracolla e un leggero affanno,  la mamma con la valigia  e un diario rosso fra le mani:
<< Se  ti prometto che non lo leggo, me lo farai tenere? Michele non capisce: se non lo legge , che se lo tiene a fare? Però sa che quando hai sette anni ci sono un sacco di cose che i grandi capiscono e tu ancora no >>.
<<Che fai parti? E dove vai?>>  Lei non ha risposto.
Poi il nulla, il lento distacco, una  vita  senza suoni, odori, colorata in bianco e nero, consumata fra i vagoni dei treni di una  piccola stazione , fra gli oggetti smarriti, “amici” che non contemplano la partenza, l’assenza , la separazione. Michele si sente  un “oggetto”, volutamente abbandonato, mai reclamato , non appartenente a nessuno, nemmeno a se stesso.  Un fortino, una corazza metallica impermeabile ai sentimenti, intrisa di un dolore illacrimato, un arido deserto,  un treno arrivato al capolinea, in perenne attesa di una scintilla per ripartire. Con un prologo struggente Salvatore Basile, al suo esordio letterario, spinge il lettore dentro la sua narrazione : “Lo strano viaggio di un oggetto smarrito”, Garzanti Libri, 2016. E’ favola dalla morale amara, colorata con  sentimenti di speranza, di fiducia, che  invita  a lasciarsi andare alla deriva nel mare  impervio della casualità, dell’inaspettato, dell’imprevisto. Si muove nell’alveo del romanzo psicologico, di profonda indagine introspettiva, anche se la fabula narrativa non è affatto debole, mai banale, focalizzata sui meccanismi mentali dei personaggi, sulle  loro emozioni, sui loro stati d’animo, sui loro conflitti interiori. Viene privilegiata l’analisi dei sentimenti, i dialoghi e le scene che permettono alle varie personalità  di rivelarsi, mentre il  ritmo narrativo suona sul tempo di un valzer lento, lungo lo scorrere di  sequenze descrittive e riflessive. E’ anche romanzo di formazione, che scandisce il passaggio definitivo del protagonista dalla “bolla incantata” in cui si è rinchiuso, prigioniero  della propria diffidenza, a  quella “adulta”, emancipandosi concretamente e psicologicamente dalla sindrome dell’abbandono, a progettare il proprio futuro in modo autonomo, pronto a nuove esperienze per acquisire conoscenza di se stesso e in rapporto agli altri,  per non morire vivendo. Lo scrittore, racconta di oggetti smarriti , che lo affascinano, lo intrigano , perché portatori di un  passato misterioso da svelare ,  vissuto in altri luoghi, in un’altra stagione.  E’  metafora dolce e trasognata della vita! Si perdono cose, parole, affetti, si perdono volti,  persone,  amici,  si perdono luoghi , profumi, sapori ...  e alla fine,  prigionieri della nostre inquietudini ed instabilità, come oggetti,  anche noi, ci perdiamo...ci smarriamo, non  troviamo più la via del ritorno, perchè diversi, troppo diversi per riconoscerla. Ma gli oggetti sono testardi, imprevedibili, amano ritornare, per riscrivere una storia o per dipingerne un’altra, per ottenere un tardivo perdono, perché dopo una fine c’è un inizio, dopo il reflusso c’è sempre un’ onda. Per Michele la sua onda è uno tsunami di parole, di sorrisi, di abbracci, di baci, di …..E’ Elena ! Tutto ciò che lui non è!
<<Non era particolarmente bella, ma aveva un sorriso disarmante >>.
 <<Era evidente che quella ragazza non aveva la più pallida idea di cosa significasse entrare nelle stanze e nelle vite degli altri senza chiedere permesso>>.
 E’ un fascio di luce bianca, splendente, che illumina di giallo, rosso, arancione ... i timidi toni di grigio che avvolgono , come natura morta, l’esistenza di Michele. Sente le persone Elena, sente i loro colori, perché come luce bianca li contiene tutti….e Michele, sotto il grigio di una patina di cenere  è :<<Rosso!>>, come il  suo diario, che in un avventuroso  nòstos,  ritrova il suo scrittore. Due mondi diversi, due  modi diversi di affrontare l’abbandono, il dolore: cavalcarli o lasciarsi schiacciare?  Rinascere o morire? Un dualismo inconciliabile di pensare la vita, ma  infine  complementari, due facce di una stessa medaglia. Michele intraprende un viaggio, una piccola odissea, alla ricerca della felicità perduta, di se stesso, di legami spezzati per riannodarli, compito alquanto arduo nella  “società liquida” di  Zygmunt Bauman, caratterizzata dalla fragilità delle relazioni, delle strutture sociali, in cui tutto si decompone e ricompone rapidamente, in modo vacillante e incerto, fluido e volatile. E’ un peregrinare convulso, incerto, costellato da molteplici personaggi, meravigliosamente descritti con  gli occhi di un  amanuense medievale,  ognuno con la propria storia da riferire,  col proprio insegnamento da donare; vicende secondarie che si intersecano , si sovrappongono,  si fondono con la  trama principale, eppure pilastri su cui si fonda la narrazione, perché la completano, l’arricchiscono. Lo scrittore con registro linguistico chiaro, limpido, scorrevole, senza mai perdere in profondità,  mette in scena, quasi cinematograficamente, un tòpos ricorrente  della letteratura di inizio novecento, storie di padri  e figli, di contrasti, delusioni, tradimenti, perdoni, di decisioni irreversibili che segnano per sempre l’esistenza dei protagonisti, eternamente oscillante tra il quotidiano rimorso e quello che sarebbe potuto essere. L’autore non nega la possibilità di riscatto, la riabilitazione della figura materna, seppure tardiva,  ormai persa nei meandri della memoria, nei circuiti neuronali di una mente spenta:
<<Le confessò di aver capito che tutti hanno il diritto di seguire un orso bianco, perché rinunciare a farlo vuol dire, semplicemente , rinunciare a vivere>>.
L’epilogo del romanzo  è un inno alla vita, a lasciarsi andare all’imprevisto, alla speranza, a concedere fiducia, perchè come dice l’autore citando un antico detto Inca:
< <Se un passero dalle ali spezzate riesce a prendere il volo, nessun condor avrà ali tanto robuste da poterlo raggiungere>>.

ROSSO NELLA NOTTE BIANCA 
di Stefano Valenti Feltrinelli 2016
    Recensione di Liber Liber La Lettura di Rosy Franzò & Piero Pirosa

Ulisse è tornato! Ulisse è tornato, urlano con ripreso vigore le voci, fluttuanti onde depolarizzate nei circuiti neuronali di una mente allucinata, è tornato alla sua Itaca, ma non c’è l’azzurro rassicurante del mare, bensì:<< La tremenda immensità dei duemila metri….l’immensità dei monti, l’ ombra nebbiosa del primo mattino che divora tutto>>. Ulisse è tornato nella malga a:<< mettere ordine nelle cose>>. Scende furtivo per la mulattiera, mentre le campane del fondovalle rintoccano le sei. Scende con passo felpato da lupo. Tutt’intorno è bianco; bianca è la neve, un diluvio di bianco, il <<bianco incorrotto del mondo>> che annulla ogni forza, ogni violenza, ogni voce, bianchi sono i gas tossici e la polvere nel cotonificio e il cielo vuoto di novembre, chiuso a rimpianti e preghiere. Bianche sono le voci nei suoi incubi, diafani i volti di cui non ha memoria, mentre la:<< mente è un incendio, un dolore forte, come un roditore che rosicchi dentro il cranio>>. E’ arrivato l’arcangelo Michele, porta la morte, viene da un passato remoto, volutamente dimenticato, ma non per lui,…non per lui. Viene dal ’900 italiano, arriva dalla resistenza partigiana del secolo scorso. Viene da lontano la vendetta, gelida come la neve, porta con se il nero del fumo della baita bruciata, il nero delle camicie dei Repubblichini, il nero del fango che appesantisce la fuga, il nero del nome Nerina. La némesis come dovere morale e sociale, come giustizia divina, specchio sincero e crudo del nostro essere umani, cerca il suo uomo. Lo trova, lo accerchia, lo stringe fra le sue spire; uno sguardo, un’ immagine lontana, il luccichio dell’acciaio del piccone ed è tutto rosso. Rosso come il sangue sulla neve, rosso come il fuoco che brucia, rosso come la vergogna e il senso di colpa, rosso come la lotta, rosso come i capelli di Ulisse, Rosso come il suo nome di battaglia, sui monti, insieme ai ribelli della Matteotti. Con un prologo intenso, lirico, compulsivo, martellante come il protagonista, Stefano Valenti ci introduce nel suo ultimo romanzo “Rosso nella notte bianca” edito da Feltrinelli 2016. Dal titolo alla copertina, fin dentro le storie dei personaggi, Valenti dipinge una tela triste, malinconica, violenta, spietata, senza luce, impregnata di un ripetitivo cromatismo: bianco, nero e rosso. Rievocando un fatto realmente accaduto, lo scrittore narra la storia di un uomo, ormai settantenne, che da quarantotto anni attende la sua vendetta: Ulisse Bonfanti, ex partigiano sulle montagne lombarde durante la Resistenza. La morte della sorella Nerina per mano dei Repubblichini nel 1944, guidati da un traditore, Mario Ferrari, lo porta ad abbandonare i luoghi dove è cresciuto ed è stato ragazzo, il microcosmo dove è diventato uomo, per fare l’operaio in un cotonificio in Valsusa insieme alla madre Giuditta, il militante di base del Pci, devoto a Gesù Cristo e al comunismo, debole di nervi e allucinato come la lingua che parla. Col piglio del metateatro di Pirandello, Valenti idealmente butta giù la quarta parete, i “personaggi scendono dal palco”, fuoriescono dalle pagine, interloquiscono col lettore, lo scrutano, lo interrogano. E’ una polifonia di voci, che attraverso Ulisse, Nerina e Giuditta narrano le storie intime degli ultimi, dei vinti , degli illusi, per conoscere la Storia. Sono ombre, fossili di un epoca che non c’è più; con una lingua sconosciuta ai più, parlano della miseria sui monti:<<Era forte la fame , una gran fame ….e il destino di chi aveva fame era la ricerca di un’ elemosina>>, della condizione femminile:<< Nei monti la donna ha il valore della bestia, meglio perdere la donna che la bestia, che la bestia è tutto per il contadino, la donna niente….i contadini tengono alla terra, la terra e nient’altro. La roba è tutto…niente conta come la roba, niente conta come le bestie>,Verga docet! Allora che fare? Serve un nuovo modello, per la creazione di un mondo e di un uomo nuovo, l’ “Ordine Nuovo” di Gramsci, il comunismo, perché:<<l’ordine del mercato è il più inumano di tutti,…un incubo per chi non ha patrimoni, non nasce in famiglie che hanno influenza e non può contare altro che sul proprio lavoro>>.E’ necessaria la lotta di classe, perché, come dice Marx, è il motore della storia. Il movimento storico è animato dal conflitto, è quindi dialettico, cioè nega e supera le fasi precedenti, anche nella “società liquida” 2.0 in cui ognuno non ha forma, per assumere quella del contenitore vincente:<< Nel portare a termine il conflitto di classe è la nostra missione>>, di Noi miserabili, di Noi ultimi. Ed è sui monti con i ribelli, con il Dionisio, con l’Ettore, col Giuvanun, con l’Ercole, col Pinin…., che Ulisse trova la sua missione, la sua libertà, la dignità :<< … quella nostra vita, la mia vita, era la prima volta che mi dava l’idea di essere utile…prima non era vivere>>.Conosce la Russia dai racconti, dove non c’erano padroni, senza miseria e fame, inondata di benessere, di felicità, il paradiso in terra, perché :<.. a rovinare il mondo erano i padroni>>.In Ulisse, convivono quasi in sinergia comunismo e Dio, rivoluzione e religione, bianco e rosso. Un paradosso? Non proprio! Bensì due strade parallele, le due facce di una stessa medaglia, che pur non intersecandosi muovono nella stessa direzione, hanno lo stesso scopo rivoluzionario: <<….che la terra fosse il dominio di miserabili, di umiliati e offesi, che fosse il dominio degli infelici, che le ricchezze della terra fossero suddivise in parti equivalenti>>. Ma l’estate ribelle dura poco, troppo poco! Dopo l’onda della ribellione c’è il reflusso della conservazione, c’è il lavoro in fabbrica, il salario, le lotte sindacali. La fabbrica è vista come un carcere , una dannazione , un luogo di fatica , di soprusi, con la consapevolezza di essere trattati come bestie, alla mercè di padroni indifferenti:<<Il padrone , gente che guarda al centesimo e che prima di riconoscere un merito ad un operaio , attende di trarne guadagno….molti operai vorrebbero che i padroni fossero buoni, bravi, che facessero l’interesse dell’ operaio, ma non funziona così…>>. I paesaggi della Valtellina sono il luogo dell’anima per Ulisse e l’autore, cupe le descrizioni , dalle vette che nascondono il cielo alla neve che cristallizza il lento fluire del tempo e appiattisce lo spazio. Con una scrittura febbrile, compulsiva, delirante, a tratti graffiante, Valenti narra di “Storie non raccontate, storie che finiscono nel grande cimitero della Storia”. Storie popolate da fantasmi sospesi nel vuoto, che raccontano le loro vicende e illusioni, alla luce dei fatti di una Storia traditrice e investiti dal crollo dell’ideologia comunista. E’ un eroe tradito Ulisse, ha perso tutto per costruire il “nuovo mondo”, da cui è stato rigettato , umiliato insieme ai morti. ”Li ammazzeremo tutti” dice Milton al vecchio fenogliano in “Una questione privata”. Ed invece… Nella sua allucinata umanità non può dimenticare, non può sporcare la purezza della sua anima con il compromesso, perché la guerra per lui non è finita, non finirà mai, finchè non chiuderà il cerchio, finchè non metterà “ordine nelle cose”. E’ un romanzo di forte impegno civile che tocca l’acme nella denuncia di un’atavica caratteristica italiana: l’ignavia, il non stare da nessuna parte, patria di indifferenti. La<< Troia Italia>>, da Foglio di via di Franco Fortini, è l’unica nazione al mondo dove: <<antifascista è diventata una parola come altre. Confusa tra altre confuse parole, confusa come anticomunista>>.Il romanzo è attraversato da un fluido di coscienza civile collettiva, i suoi personaggi, i suoi vinti, ripropongono quella” Questione morale” di cui nel lontano 1981 Enrico Berlinguer ne fu il promotore, il Padre nobile. Sembrano dire al lettore, all’intellettuale, al politico, al lavoratore:<<Noi, in fondo, eravamo migliori…avevamo una comunità di valori che permetteva al singolo di sentirsi parte di qualcosa>>. Oggi con la caduta delle ideologie e dei partiti tradizionali, è emerso uno sfrenato individualismo dove nessuno è compagno di strada ma antagonista di ciascuno. Tutto è liquefatto, tutto magma caotico, massa senza identità, senza inerzia; ed un popolo che non prende coscienza della sua “vis", resterà per sempre fluido, pronto ad assumere la forma, la maschera che altri gli proporranno, che altri gli assegneranno, un popolo di : “vinti senza lotta”.