mercoledì 12 aprile 2017

LA FIGLIA FEMMINA
di Anna Giurickovic Dato  Fazi 2017
Recensione di Liber Liber la Lettura
di Rosy Franzò & Piero Pirosa

E’ un dramma borghese “La figlia femmina”,  di Anna Giurickovic Dato, giovane scrittrice all'esordio per Fazi Editore. Si muove nell’alveo del romanzo psicologico, di profonda indagine introspettiva.  Le sue radici sono da ricercare nella tragedia greca fino ad approdare al teatro sperimentale di Brecht, Pirandello, o  Ibsen. La fabula narrativa è la  rappresentazione realistica di una vicenda umana tragica, focalizzata sui meccanismi mentali dei personaggi, sulle  loro emozioni, sui loro stati d’animo, sui loro conflitti interiori,  sull’osservazione minuziosa della vita. Il romanzo è caratterizzato dall'opera paziente dello scandaglio  interiore e dall'indagine sulle ombre della psiche e sui guizzi dei desideri “malati”; è pregno di morbosa sensualità, ambiguità, potenzialità sovversiva di sguardi, gesti, allusioni, che “gettano” il lettore in uno stato confusionale, in:<<  una nebbiosa atmosfera da crepuscolo dell’amore>>; fotografa impietosamente la vita privata e familiare della classe borghese, distruggendone miti, valori, linguaggi. E’ un libro doloroso. Una preghiera per la violazione della purezza dell’innocenza;  ha i toni  del "J'accuse" di zoliana memoria, contro le debolezze umane del non voler vedere, al chiudere gli occhi sul male che è troppo vicino a noi, dentro di noi,  a ”portata di mano”. La scrittrice analizza la natura umana nelle sue sfaccettature più intime,  più oscure; cattura repentinamente l’attenzione del lettore , lo inchioda dal primo capitolo, con la stessa violenza di un padre sulla figlia.  La scrittura è “potente”, piana, quasi chirurgica. Nulla è ridondante ed ampolloso, né disadorno né incolto, né c’è traccia alcuna di ostinata ricerca di ornamento. La lettura si perpetua con  linearità, trasparenza, senza ricorrere a improbabili iperboli. Bastano poche pagine, la lettura di poche righe e il lettore viene preso per mano, e con una presa sicura, forte, viene “scaraventato” nell’orrore.
<<Una storia disturbante che si legge tutta d’un fiato>>, è stato il commento di Simonetta Agnello Hornby.
Maria è una bimba :<< profuma di timo ed è bianca come il latte caldo……il suo sguardo è enorme, sostiene tutto ed  è insostenibile , perché è innocente,……non sa cosa accade, non ha il coraggio di chiederlo, di domandare alla sua mamma il significato di quella notte>>, figlia di un diplomatico, Giorgio, e di una donna solare, Silvia, che ama la sua famiglia. Vivono a Rabat dove Giorgio lavora e dove Silvia cresce Maria, tra il mercato centrale e le belle coste marocchine.
La storia si srotola nel futuro che presto diventa presente: Giorgio non è più nelle vite di Silvia e Maria, che è ormai adolescente. Vivono a Roma e Silvia ha una galleria d'arte e un nuovo compagno, Antonio. Finalmente si è decisa a invitarlo a casa per pranzo e per conoscere la sua problematica figlia, Maria: aggressiva, rabbiosa, dolce, bella, deliziosa nella sua prima gioventù.
Un dramma borghese ha bisogno di una grande città, o di più grandi città, grandi palcoscenici  per poter mettere in scena le proprie tragedie. Spesso e volentieri, ed è così anche in questo caso,  necessita di un forte elemento familiare. Qui la narrazione  ruota intorno a due personaggi femminili, intorno a due donne, Silvia e Maria, madre e figlia, che si sfidano per contendersi gli amori prima di Giorgio marito e padre-orco e poi di Antonio, il marito-patrigno, emblemi dell'elemento maschile.
Il pranzo risveglierà antichi drammi. Maria è davvero innocente, è veramente la vittima del rapporto con suo padre? Allora perché prova a sedurre per tutto il pomeriggio Antonio sotto gli occhi annichiliti della madre? E la stessa Silvia era davvero ignara di quello che Giorgio imponeva a sua figlia? Al contrario di una letteratura troppo stereotipata sui ruoli di vittima e carnefice, i personaggi della G. Dato camminano nell’ombra dell’ambiguità: la vittima diventa un’adolescente carnefice, la madre una complice, e andando avanti e indietro nel tempo, la vicenda si colora di sfumature, dettagli, oscurità, inquietudini. La Maria di questo romanzo ci riporta alla Dolores Lolita Haze di Nabokov. Infatti, Maria è l’avversaria imbattibile per una donna matura, per una madre come Silvia. E’ più giovane, più bella e più intrigante, perché ancora "senza peccato" e quindi, ancora più stuzzicante per un uomo, per un maschio, nell'accezione più animalesca del termine. Il romanzo porta a riflettere sul nucleo familiare , dove paradossalmente non sempre si è al sicuro. Come romanzi borghesi, di cui un esempio sono “Gli indifferenti” di Alberto Moravia:<< l’orrore, la minaccia incombente, il nemico più prossimo non è quello in divisa da soldato che spunta dal fango delle trincee ma quello in giacca e cravatta che siede a tavola di fianco a noi>>.
Solo quando Giorgio sparirà dalla scena Silvia capirà la orribile verità per bocca della sua stessa figlia che le confesserà ogni cosa anche quella più difficile da credere.
<<Le figlie femmine... in molti paesi se sono brutte è un vero problema.>>
Un argomento pesante, difficile da leggere ma raccontato con uno stile leggero, ammaliante e irresistibile.<< La figlia femmina è quindi un testo difficile da leggere, non tanto per il linguaggio, piano eppure senza scampo, ma perché c'è tutto il nero delle nostre vite, lo sporco che vorremmo nascondere, il non detto che vorremmo tacere sino alla tomba>>.
In un clima tormentato e morboso, il passato si scioglie in una speranza:<< perché l’amore è capace di ricucire ogni cosa e….. il dolore insegna che sei viva>>, per uscire dalla gabbia della sofferenza, della rabbia, per  ricominciare.



                                                                  
      MAGARI DOMANI RESTO
di Lorenzo Marone Feltrinelli 2017
 Recensione di Liber Liber la lettura 
di Rosy Franzò & Piero Pirosa

Cerca Luce, cerca il suo cielo, la sua” luce”. L’ha smarrita, persa fra i vicoli tortuosi , drammaticamente visionari dei Quartieri Spagnoli, eternamente sospesi fra realtà e finzione; eternamente sballottati in una dialettica fra bene e male,  dramma e commedia,  comicità e ironia, sorriso e  pianto. Cerca la sua strada Luce, cerca la “sua” famiglia…eppure come moderno Amleto è titubante:  restare e resistere o spiccare il volo? Tagliare le nervose radici  per planare in un altro azzurro, in  un  ipotetico altrove……?Abbandonare il terreno per un biglietto di solo andata o tirare dritto lungo quelle stradine,  con la certezza che i fantasmi  non scompariranno, ma si materializzeranno come serpi pronte al morso,   da quel viluppo di ricordi, lasciando incolmabili sensi di vuoto. E’ essenzialmente intorno a questa inquietudine che si schiude e trascina l’esistenza di Luce, anzi di  Luce Di Notte:<< Lo so, non è un nome, è ‘na figura e merd!>>. Stella Di Notte sarebbe stata :<<una cosa normale>> e Luce normale non è: Luce è speciale, è na' femmena.  Dopo Cesare Annunziata e  Erri Gargiulo, è una donna  che per la prima volta bussa alla porta di Lorenzo  Marone dicendogli :<< Cosà amma farè, teng na' storià ……>>, e l’effetto non è niente male, tanto che non si percepisce che dietro ci sia una penna maschile, come se questa “amazzone guerriera”, Marone l’avesse dentro da sempre, come crisalide chiusa nel suo angusto bozzolo, pronta alla metamorfosi, a librarsi nell’aria come splendida farfalla. Al primo approccio, il lettore si trova dinanzi un’architettura umanamente composita , un labirinto di personaggi in antitesi con la linearità della trama. Una prima lettura, richiede un’analisi strutturalista e/o formalista, per capire come in una forma elegante, mai aulica, ma con toni di matura raffinatezza estetica, Marone fa sì, che il valore funzionale del singolo personaggio sia determinato dall’interagire, intersecarsi, scontrarsi con gli altri. Lo scrittore, con galateo letterario e una certa teatralità dell'antica arte della commedia napoletana, degna di Eduardo, descrive una commedia dalla morale amara, colorata con  sentimenti di speranza, di fiducia, che  invita  a lasciarsi andare alla deriva nel mare  impervio della casualità, dell’inaspettato, dell’imprevisto. Si muove nell’alveo del romanzo psicologico, di profonda indagine introspettiva, anche se la fabula narrativa non è affatto debole, mai banale, focalizzata sui meccanismi mentali dei personaggi, sulle  loro emozioni e contraddizioni, sui loro stati d’animo, sui loro conflitti interiori. Viene privilegiata l’analisi dei sentimenti, i dialoghi e le scene che permettono alle varie personalità  di rivelarsi. Al centro del romanzo  Luce, “una piccola grande femmina del sud”; vive a Napoli, da sola, in un monolocale in affitto  nei Quartieri Spagnoli, è un avvocato, o almeno dovrebbe esserlo. I titoli li ha. Centodieci in giurisprudenza e la  voglia di diventare un “ bulldog” del foro, peccato che lei in aula ci vada poco o niente. Il suo compito è portare adempimenti da una cancelleria all’altra: un’ eterna praticante, presso lo studio legale “ Geronimo & Partners”, così almeno vuole il suo capo, Arminio Geronimo,  che a dispetto dei nomi che porta, rispetto agli originali non è né idealista né valoroso, ma  smidollato, tirchio e un ridicolo cascamorto.  Capelli corti alla maschiaccio, jeans e anfibi, Luce è una giovane onesta e combattiva, abituata a “prendere a schiaffi la vita”. Alle spalle, l’infanzia segnata dal trauma dell’abbandono , dalla ferita dell’assenza del padre, spiantato e pericolosamente libero, capace di lasciare la famiglia al suo destino e incontrare la  morte in Sudamerica. Una mancanza  affettiva che Luce  percepisce nel profondo della sua anima, e che  ne determina scelte, umori, reazioni e  fragilità, ulteriormente amplificate dal rapporto inesistente con una madre bigotta, moralista, e bacchettona:<< Mia madre si è premunita di insegnarmi il Padre Nostro, l'Ave Maria, il Credo e l'Eterno Riposo, ma non mi ha insegnato come ricambiare un gesto di affetto,….. in che modo aiutare chi ti tende la mano>>, da un fratello “fuggito” al Nord,  e da un amore per un bastardo Peter Pan:<< Il risultato finale è una specie di femmina di bassotto incazzata che proprio non riesce ad accettare che qualcuno le pesti i piedi e che il più forte vinca sempre sul più debole>>, che ogni giorno affronta la vita con "la cazzimma". E Luce di cazzimma ne ha, eccome. E’ un fortino, una corazza metallica impermeabile ai sentimenti, una maschera pirandelliana intrisa di un dolore illacrimato, uno spazio vuoto rivestito di una patina di ironia,  un treno arrivato al capolinea, in perenne attesa di una scintilla per ripartire, per brillare più di prima.
Naturale, per lei, la tentazione di mollare gli ormeggi:<< A volte viene voglia anche a me di imbarcarmi e non tornare più, … semmai salire su al nord, a fare una vita che già so non sarebbe la mia, ma che però, forse, mi permetterebbe di costruire qualcosa, qualunque cosa. Perché qui a volte mi sembra di essere un pesce rosso in una boccia, giro in tondo e un po’ alla volta inquino la stessa acqua che respiro>>. Lars Gustafsson asserisce che:<< Vivere una vita normale è la forma più triste di suicidio>>, eppure la vita di Luce, che  è un inno alla quotidianità, alle consuetudine, alle abitudini, implicitamente dimostra che la felicità è nell’infinitamente piccolo, nella straordinarietà dell’ordinario per chi impara a scorgere :<<Ciò che di bello la vita dona ogni giorno>>. E’, dice Marone  :<< un elogio di quelle piccole grandi cose quotidiane che ci aiutano a stare meglio, che ci fanno  tendere verso la felicità; le piccole cose che noi, spesso, nemmeno notiamo, presi da tutt’altro>>, e poi :<<Essere abitudinari non è poi così da sfigati. I bambini sono abitudinari. E i cani. Il meglio che c’è in giro>>.  Tutto d’un colpo cambia! Entrano nella vita di Luce , senza chiedere permesso, un ragazzetto, Kevin, figlio di un boss e sua madre Carmen per una causa di affido; un bastardino che chiamerà Allerìa, il suono della leggerezza, il suo Cane Superiore,  il suo unico vero confidente; Primavera , una rondine ferita  che curiosamente non vuole lasciare la gabbia, e Don Vittorio, l’anziano vicino , un musicista filosofo in sedia a rotelle. E’ il  plot twist che cambia la storia, la “sua” storia,  che sovverte la rassegnazione, che imprime energia cinetica ad un mondo d’ancestrale staticità, ...fa sobbalzare il lettore, …...lo coglie di sorpresa; l’ avvocatessa, ispida e tenera, che sta sempre sulla difensiva, trova la “sua famiglia”, magari un po’ sghemba, ma  magico luogo di attenzioni, suoni, odori; luogo del cuore impregnato di una forza vitale capace di accordare le persone più diverse, più lontane, più sole, mentre nell’aria si ode il sordido rumore di fondo della camorra, che “ammorba” i Quartieri, dove l’omertà di molti convive con la resistenza di altri. La narrazione scorre al ritmo dell’allegretto, in un  alternarsi di punto e contrappunto, fra il canto rivoluzionario di Luce, delle sue battaglie, della sua sete di giustizia sociale, del suo stare in tutto e per tutto dalla parte dei più deboli, della sua brama d’amore, di riconciliazione …e il mormorio dei Quartieri Spagnoli, di una Napoli, imperfetta e popolare, non più sfondo, non più semplice tavolozza o effimero contorno, ma protagonista assurta a persona; ne senti il respiro proveniente dai bassi piuttosto che dai palazzi nobiliari, senza barriere, dove tutto si mescola, i contorni si sfumano per divenire meravigliosamente indistinguibili: molte città in una. Tutto profuma di Napoli, dalla salsedine alle crocchè fritte la domenica mattina, alla prepotente forza della sua lingua, che impregna il romanzo dei suoi: freva, persechella, schizzechea, scuornu, Viento ’e mare. E allora, andare o restare ? Fin dall’esergo si capisce dove sta l’autore:<<A quelli che resistono. E tirano avanti>>, anche perché :Bisogna cambiare d’animo, non di cielo”.