ROSSO NELLA NOTTE BIANCA
di Stefano Valenti Feltrinelli 2016
Recensione di Liber Liber La Lettura di Rosy Franzò & Piero Pirosa
di Stefano Valenti Feltrinelli 2016
Recensione di Liber Liber La Lettura di Rosy Franzò & Piero Pirosa
Ulisse è tornato! Ulisse è tornato, urlano con ripreso vigore le voci,
fluttuanti onde depolarizzate nei circuiti neuronali di una mente allucinata, è
tornato alla sua Itaca, ma non c’è l’azzurro rassicurante del mare,
bensì:<< La tremenda immensità dei duemila metri….l’immensità dei monti,
l’ ombra nebbiosa del primo mattino che divora tutto>>. Ulisse è tornato
nella malga a:<< mettere ordine nelle cose>>. Scende furtivo per la
mulattiera, mentre le campane del fondovalle rintoccano le sei. Scende con
passo felpato da lupo. Tutt’intorno è bianco; bianca è la neve, un diluvio di
bianco, il <<bianco incorrotto del mondo>> che annulla ogni forza,
ogni violenza, ogni voce, bianchi sono i gas tossici e la polvere nel
cotonificio e il cielo vuoto di novembre, chiuso a rimpianti e preghiere.
Bianche sono le voci nei suoi incubi, diafani i volti di cui non ha memoria, mentre
la:<< mente è un incendio, un dolore forte, come un roditore che rosicchi
dentro il cranio>>. E’ arrivato l’arcangelo Michele, porta la morte,
viene da un passato remoto, volutamente dimenticato, ma non per lui,…non per
lui. Viene dal ’900 italiano, arriva dalla resistenza partigiana del secolo
scorso. Viene da lontano la vendetta, gelida come la neve, porta con se il nero
del fumo della baita bruciata, il nero delle camicie dei Repubblichini, il nero
del fango che appesantisce la fuga, il nero del nome Nerina. La némesis come
dovere morale e sociale, come giustizia divina, specchio sincero e crudo del
nostro essere umani, cerca il suo uomo. Lo trova, lo accerchia, lo stringe fra
le sue spire; uno sguardo, un’ immagine lontana, il luccichio dell’acciaio del
piccone ed è tutto rosso. Rosso come il sangue sulla neve, rosso come il fuoco
che brucia, rosso come la vergogna e il senso di colpa, rosso come la lotta,
rosso come i capelli di Ulisse, Rosso come il suo nome di battaglia, sui monti,
insieme ai ribelli della Matteotti. Con un prologo intenso, lirico, compulsivo,
martellante come il protagonista, Stefano Valenti ci introduce nel suo ultimo
romanzo “Rosso nella notte bianca” edito da Feltrinelli 2016. Dal titolo alla
copertina, fin dentro le storie dei personaggi, Valenti dipinge una tela
triste, malinconica, violenta, spietata, senza luce, impregnata di un
ripetitivo cromatismo: bianco, nero e rosso. Rievocando un fatto realmente
accaduto, lo scrittore narra la storia di un uomo, ormai settantenne, che da
quarantotto anni attende la sua vendetta: Ulisse Bonfanti, ex partigiano sulle
montagne lombarde durante la Resistenza. La morte della sorella Nerina per mano
dei Repubblichini nel 1944, guidati da un traditore, Mario Ferrari, lo porta ad
abbandonare i luoghi dove è cresciuto ed è stato ragazzo, il microcosmo dove è
diventato uomo, per fare l’operaio in un cotonificio in Valsusa insieme alla
madre Giuditta, il militante di base del Pci, devoto a Gesù Cristo e al
comunismo, debole di nervi e allucinato come la lingua che parla. Col piglio
del metateatro di Pirandello, Valenti idealmente butta giù la quarta parete, i
“personaggi scendono dal palco”, fuoriescono dalle pagine, interloquiscono col
lettore, lo scrutano, lo interrogano. E’ una polifonia di voci, che attraverso
Ulisse, Nerina e Giuditta narrano le storie intime degli ultimi, dei vinti ,
degli illusi, per conoscere la Storia. Sono ombre, fossili di un epoca che non
c’è più; con una lingua sconosciuta ai più, parlano della miseria sui
monti:<<Era forte la fame , una gran fame ….e il destino di chi aveva
fame era la ricerca di un’ elemosina>>, della condizione
femminile:<< Nei monti la donna ha il valore della bestia, meglio perdere
la donna che la bestia, che la bestia è tutto per il contadino, la donna
niente….i contadini tengono alla terra, la terra e nient’altro. La roba è
tutto…niente conta come la roba, niente conta come le bestie>,Verga docet!
Allora che fare? Serve un nuovo modello, per la creazione di un mondo e di un
uomo nuovo, l’ “Ordine Nuovo” di Gramsci, il comunismo, perché:<<l’ordine
del mercato è il più inumano di tutti,…un incubo per chi non ha patrimoni, non
nasce in famiglie che hanno influenza e non può contare altro che sul proprio
lavoro>>.E’ necessaria la lotta di classe, perché, come dice Marx, è il
motore della storia. Il movimento storico è animato dal conflitto, è quindi
dialettico, cioè nega e supera le fasi precedenti, anche nella “società
liquida” 2.0 in cui ognuno non ha forma, per assumere quella del contenitore
vincente:<< Nel portare a termine il conflitto di classe è la nostra
missione>>, di Noi miserabili, di Noi ultimi. Ed è sui monti con i
ribelli, con il Dionisio, con l’Ettore, col Giuvanun, con l’Ercole, col
Pinin…., che Ulisse trova la sua missione, la sua libertà, la dignità :<<
… quella nostra vita, la mia vita, era la prima volta che mi dava l’idea di
essere utile…prima non era vivere>>.Conosce la Russia dai racconti, dove
non c’erano padroni, senza miseria e fame, inondata di benessere, di felicità,
il paradiso in terra, perché :<.. a rovinare il mondo erano i
padroni>>.In Ulisse, convivono quasi in sinergia comunismo e Dio,
rivoluzione e religione, bianco e rosso. Un paradosso? Non proprio! Bensì due
strade parallele, le due facce di una stessa medaglia, che pur non
intersecandosi muovono nella stessa direzione, hanno lo stesso scopo
rivoluzionario: <<….che la terra fosse il dominio di miserabili, di
umiliati e offesi, che fosse il dominio degli infelici, che le ricchezze della
terra fossero suddivise in parti equivalenti>>. Ma l’estate ribelle dura
poco, troppo poco! Dopo l’onda della ribellione c’è il reflusso della
conservazione, c’è il lavoro in fabbrica, il salario, le lotte sindacali. La
fabbrica è vista come un carcere , una dannazione , un luogo di fatica , di
soprusi, con la consapevolezza di essere trattati come bestie, alla mercè di
padroni indifferenti:<<Il padrone , gente che guarda al centesimo e che
prima di riconoscere un merito ad un operaio , attende di trarne
guadagno….molti operai vorrebbero che i padroni fossero buoni, bravi, che
facessero l’interesse dell’ operaio, ma non funziona così…>>. I paesaggi
della Valtellina sono il luogo dell’anima per Ulisse e l’autore, cupe le
descrizioni , dalle vette che nascondono il cielo alla neve che cristallizza il
lento fluire del tempo e appiattisce lo spazio. Con una scrittura febbrile,
compulsiva, delirante, a tratti graffiante, Valenti narra di “Storie non
raccontate, storie che finiscono nel grande cimitero della Storia”. Storie
popolate da fantasmi sospesi nel vuoto, che raccontano le loro vicende e
illusioni, alla luce dei fatti di una Storia traditrice e investiti dal crollo
dell’ideologia comunista. E’ un eroe tradito Ulisse, ha perso tutto per
costruire il “nuovo mondo”, da cui è stato rigettato , umiliato insieme ai
morti. ”Li ammazzeremo tutti” dice Milton al vecchio fenogliano in “Una
questione privata”. Ed invece… Nella sua allucinata umanità non può
dimenticare, non può sporcare la purezza della sua anima con il compromesso,
perché la guerra per lui non è finita, non finirà mai, finchè non chiuderà il
cerchio, finchè non metterà “ordine nelle cose”. E’ un romanzo di forte impegno
civile che tocca l’acme nella denuncia di un’atavica caratteristica italiana:
l’ignavia, il non stare da nessuna parte, patria di indifferenti. La<<
Troia Italia>>, da Foglio di via di Franco Fortini, è l’unica nazione al
mondo dove: <<antifascista è diventata una parola come altre. Confusa tra
altre confuse parole, confusa come anticomunista>>.Il romanzo è
attraversato da un fluido di coscienza civile collettiva, i suoi personaggi, i
suoi vinti, ripropongono quella” Questione morale” di cui nel lontano 1981
Enrico Berlinguer ne fu il promotore, il Padre nobile. Sembrano dire al
lettore, all’intellettuale, al politico, al lavoratore:<<Noi, in fondo,
eravamo migliori…avevamo una comunità di valori che permetteva al singolo di
sentirsi parte di qualcosa>>. Oggi con la caduta delle ideologie e dei
partiti tradizionali, è emerso uno sfrenato individualismo dove nessuno è compagno
di strada ma antagonista di ciascuno. Tutto è liquefatto, tutto magma caotico,
massa senza identità, senza inerzia; ed un popolo che non prende coscienza
della sua “vis", resterà per sempre fluido, pronto ad assumere la forma,
la maschera che altri gli proporranno, che altri gli assegneranno, un popolo di
: “vinti senza lotta”.
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