venerdì 6 gennaio 2017

Le STANZE  dello SCIROCCO
     C’ era una volta…….
La Sicilia “mavàra” fra immobilismo e cambiamento
Recensione di Liber Liber La Lettura di Rosy Franzò & Piero Pirosa

Il traghetto ha appena lasciato il Continente, la Sicilia si avvicina e l’odore del mare inizia a confondersi con quello delle zagare…. << La vedi quella, Viki ? E’ Messina : la porta della Sicilia…….Attraversare lo Stretto per me è come varcare un confine immaginario, che separa la mia terra da...tutto il resto del mondo>>, così il notaio Enzo Saglimbeni alla figlia Vittoria,  nel  “nostos” verso la <<sua>> terra, il ritorno come un miraggio, un sogno agognato . Eppure Lui : <<pur  amando visceralmente la sua terra, aveva deciso di allontanarsene>>. Ricorda, l’immagine di Alfredo in Nuovo Cinema Paradiso di  Tornatore, quando rivolgendosi ad un indeciso Totò gli dice.<<Vattinni chista è terra maligna. Non tornare più, non ci pensare mai a noi, non ti voltare, non scrivere. Non ti fare fottere dalla nostalgia>>. Appunto, la nostalgia…..fai tutto per andartene, ma quel sentimento ben presto ti assale, ti soffoca, non ti lascia più………….Perchè? Glielo aveva predetto molti anni prima il suo amico Ciccio Ranieri :<<La Sicilia è mavàra. Quando uno se ne va, lei  gli fa la fattura: che se non torna  muore di nostalgia>>.
Le stanze dello scirocco , edito da Sperling & Kupfer, è il secondo romanzo dell’autrice  netina Cristina Cassar Scalia, medico <<prestato>> all’arte della scrittura. Come nel suo  primo romanzo, “La seconda estate>>, l'ambientazione è isolana. Dopo Capri è la Sicilia a fare da sfondo alla storia di Vittoria  e della famiglia del notaio Saglimbeni , da Roma a Montuoro, paesino immaginario non lontano da Palermo, il tutto inscritto, come un romanzo di Manzoni,  in un contesto storico ben preciso  e documentato, caro all’autrice, la contestazione studentesca del 1968. E’ la narrazione di una storia d’amore, molto travagliata, fra Vittoria, ventiduenne studentessa di architettura, ribelle, caparbia, anticonforrmista: <<Siciliana è!>>,  ripete spesso, con orgoglio il padre Enzo, e l’ombroso, tradizionalista, maschilista ….Diego, quasi  un personaggio di Brancati, in superficie, ma pirandelliano interiormente, con il peso di una maschera da portare per nascondere ataviche paure e fragilità. Due mondi diversi, una dualismo inconciliabile di pensare la vita, ma  infine  complementari, due facce di una stessa medaglia. L’autrice , come un moderno Caravaggio, maestro di  luce e ombre, <<dipinge>> una “storia di Sicilia”, una tela che trasuda dei suoi profumi, della sua storia, della sua gente, pregna di contraddizioni, degli ipocriti <<pare brutto>>, dei pregiudizi, ambiguità e  miserie, eppure  capace di slanci improvvisi quanto isolati. E’ un affresco di paesaggi assolati, suggestivi, quasi onirici. La Sicilia, con le sue ondulazioni  e infinite sfaccettature, è il colore di fondo sul quale vengono  impressi, mediante sapienti pennellate, personaggi ben caratterizzati, dai caratteri forti, come quelli femminili ad altri  meschini, bigotti, vestiti di quella pigra <<sicilitudine>>   di duplice polarità ,di contrasti, di luci e di tenebre, di comico e tragico. L’ambientazione sembra un film di Sergio Leone, con  tempi  narrativi volutamente  dilatati,  in un alternarsi di punto e contrappunto, fra il canto “rivoluzionario e progressista” di Vittoria, delle sue minigonne,  della sua MG rossa,  del giovane prete seguace di Don Lorenzo Milani e della scuola di Barbiana, delle rivolte studentesche a Valle Giulia, della legge Basaglia….e il mormorio gattopardesco  della gente pettegola,  del barbiere, del circolo dei nobili, del perbenismo ipocrita e “bacchettone” dello zio Monsignore, povero “mestierante” della fede, sempre al sicuro nella sua fredda sagrestia ,colpevoli attori  di  una Sicilia decadente e immobile, tragico coro greco di Tancredi  di Tomasi di Lampedusa: <<Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Vittoria riesce a portare un po’ di “aria fresca”, in un mondo asfittico e di ancestrale  staticità  , come quella che  si respira nelle dimore nobiliari siciliane, in piccoli ipogei : le stanze dello scirocco, quando nelle  giornate di “calura”,   il sensuale vento di sud-est , come diceva  Alceo : << dissecca la mente e le ginocchia>>.









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